In Puglia il Partito democratico si è infilato in una telenovela che rischia di trasformarsi in una catastrofe politica. Lo scontro tra Michele Emiliano e Antonio Decaro non è più un semplice braccio di ferro interno: è diventato lo stallo perfetto, una trappola che potrebbe consegnare al centrodestra una delle regioni simbolo della galassia dem.

Il governatore uscente non ne vuole sapere di farsi da parte. Da giorni ripete ai suoi fedelissimi la stessa frase: «Immagino di essere candidato al consiglio regionale senza se e senza ma». Non un auspicio, ma un diktat. Emiliano insiste su un accordo che sarebbe stato siglato il 15 maggio con Decaro: una stretta di mano davanti a testimoni eccellenti – i deputati Stefanazzi, Pagano, Lacarra, Boccia e il segretario regionale De Santis – che avrebbe fissato i ruoli. A Decaro la candidatura a presidente, a Emiliano il posto di capolista nel collegio barese.

Peccato che dall’altra parte il futuro candidato governatore abbia deciso di alzare un muro. «Se sono in lista Nichi Vendola e Michele Emiliano, io non ci sono», ha scandito Decaro, oggi eurodeputato e uomo forte del Pd pugliese, con mezzo milione di voti presi alle ultime Europee. Tradotto: se Emiliano resta in campo, la sua candidatura a governatore salta. E con lui, rischia di saltare la strategia del Nazareno.

Il quadro è da manuale di politica meridionale: promesse, patti scritti e non scritti, memorie divergenti. Emiliano racconta che quell’intesa di maggio non era che la formalizzazione di un accordo stretto un anno prima con lo stesso Decaro. «Io gli dissi che non mi sarei ricandidato – confida oggi ai suoi – nemmeno nel caso in cui fosse stato possibile un terzo mandato. La mia intenzione era lasciargli spazio per avviare il ricambio». Una versione che, a sentirlo, sarebbe stata confermata dall’allora capo di gabinetto Vito Leccese, oggi sindaco di Bari.

Eppure Decaro non arretra. Convinto che la presenza ingombrante del governatore e di Nichi Vendola in lista trasformerebbe la sua corsa in un campo minato. In altre parole: o lui o loro. Il rischio, ora, è che la resa dei conti si consumi a ridosso delle urne di novembre, lasciando alla coalizione un’immagine di divisione e caos.

Elly Schlein, fino a questo momento, ha cercato di tenersi fuori dal pantano pugliese. Ma il tempo stringe e i numeri raccontano che senza un candidato forte come Decaro, i dem rischiano grosso. Perché i sondaggi, oggi, danno il Pd saldamente in testa, con un vantaggio netto sul centrodestra. Ma basta un inciampo, una fuga in avanti o un compromesso al ribasso per ribaltare lo scenario.

A questo punto toccherà a Igor Taruffi, soprannominato “Taruffenko” per i suoi modi da mediatore implacabile, provare a sbrogliare la matassa. Il responsabile organizzazione dei dem sa che in ballo non c’è solo la Puglia, ma il futuro equilibrio interno al partito. Un passo falso rischierebbe di travolgere la leadership di Schlein, già in bilico tra la gestione del quotidiano e le fronde interne.

E allora lo stallo alla barese diventa molto più di una lite locale. È lo specchio delle fragilità di un partito che non riesce a chiudere i conti nemmeno nelle sue roccaforti. Se Emiliano non cede e Decaro non si piega, il Pd pugliese potrebbe trasformarsi in un laboratorio del fallimento. E per la segretaria, che sognava di blindare la regione come simbolo del suo successo, sarebbe il peggior epilogo possibile.