Opere di Monet, Picasso e De Chirico dal valore milionario svanite dalle residenze dell’Avvocato. Margherita Agnelli denuncia, gli Elkann ribattono: «Donati dalla nonna»
Tutti gli articoli di Italia Mondo
PHOTO
FOTO REPERTORIO - GIANNI AGNELLI (MILANO - 2001-06-07, Gussoni) p.s. la foto e' utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e' stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate
Tredici quadri spariti. Non tele qualsiasi, ma capolavori firmati da Giorgio De Chirico, Claude Monet, Pablo Picasso, Giacomo Balla, Francis Bacon. Pezzi che insieme valgono decine di milioni di euro e che appartenevano alla collezione privata di Gianni Agnelli. È la nuova faglia che si apre nella lunga e complessa vicenda ereditaria della famiglia, questa volta con un’inchiesta penale. La Procura di Roma ha infatti aperto un fascicolo per esportazione illecita di opere d’arte e ricettazione, con l’obiettivo di capire che fine abbiano fatto i dipinti e come siano scomparsi.
Il caso è seguito dall’aggiunto Giovanni Conzo e dal pm Stefano Opilio. Le prime testimonianze sono già state raccolte: i magistrati hanno ascoltato i dipendenti che per anni hanno frequentato le residenze degli Agnelli, dalle ville di Torino all’abitazione romana. Alcuni hanno raccontato che i quadri erano ancora al loro posto fino al 2018, anno in cui sarebbero stati spostati. Spostati dove, però, nessuno lo sa.
Il primo dato certo è che tre dei dipinti risultano sostituiti da copie. Copie ben realizzate, custodite in un caveau del Lingotto di Torino. Si tratta di opere iconiche: “La scala degli addii” di Giacomo Balla, “Mistero e melanconia di una strada” di Giorgio De Chirico e “Glacons, effet blanc” di Claude Monet. Opere che nel documento di divisione del patrimonio sono valutate rispettivamente due, sette e quattro milioni di euro, e che avrebbero dovuto trovarsi in Italia.
La Procura sospetta un trasferimento all’estero senza l’autorizzazione del Ministero. Un’ipotesi che fa tremare il mondo dell’arte e della collezionistica, perché si tratterebbe di uno dei più clamorosi casi di dispersione di beni culturali degli ultimi anni. Ma i dubbi non finiscono qui. Oltre ai tre quadri di cui sono rimaste le copie, ne mancano altri dieci. Opere come “Nudo di profilo” di Balthus, due celebri studi di Bacon intitolati “Study for a Pope III” e “Study for a Pope IV”, “The Cardinal Numbers” di Robert Indiana, “A composition on paper” di Georges Mathieu, due lavori di Picasso – la serie di incisioni “Minotaur” e “Torse de femme” – e ancora “A street in Algiers” di John Singer Sargent.
Tutti quadri che un tempo adornavano Villa Perosa, Villa Frescot e la residenza romana dell’Avvocato. Dopo la morte di Gianni Agnelli, i beni passarono a Marella Caracciolo di Castagneto, sua moglie, madre di Margherita. Alla sua scomparsa, Margherita entrò in possesso delle tre residenze, già concesse in comodato al figlio John Elkann.
È stata proprio Margherita, durante un’ispezione, a denunciare pubblicamente “ammanchi di beni di ingentissimo valore di proprietà del padre”, tra cui le opere d’arte. Secondo la sua versione, i quadri fanno parte dell’asse ereditario e non possono essere sottratti. I tre figli, John, Lapo e Ginevra Elkann, contestano: per loro quelle opere non rientravano nell’eredità, perché sarebbero state donate direttamente dalla nonna.
Una disputa che si inserisce nella battaglia legale che da anni vede contrapposta Margherita ai tre figli. Un conflitto aspro, che non si limita alla divisione dei beni ma che ha assunto un valore simbolico, tra rivendicazioni personali e il destino di un patrimonio che porta con sé il mito della famiglia Agnelli.
L’indagine romana aggiunge un capitolo inquietante. Se fosse confermato il trasferimento all’estero degli originali, ci si troverebbe di fronte a un’esportazione non autorizzata di beni culturali di eccezionale importanza, con tutte le implicazioni penali e diplomatiche del caso. La Procura sta cercando di ricostruire il percorso dei quadri, incrociando testimonianze, documenti e verifiche nei caveau privati.
Per ora resta l’ombra delle copie: tre lavori di valore inestimabile sostituiti con riproduzioni, custodite come se fossero autentiche. Un dettaglio che alimenta sospetti e che apre interrogativi sul momento esatto in cui gli originali hanno lasciato l’Italia. Una vicenda che fonde la cronaca giudiziaria con la storia dell’arte e che rischia di riaccendere, ancora una volta, il conflitto insanabile dentro la famiglia più osservata d’Italia.