Quando Papa Francesco, appena salito al soglio pontificio, parlò di una “terza guerra mondiale a pezzi”, forse nemmeno lui immaginava che quei frammenti, giorno dopo giorno, si sarebbero saldati in una minaccia globale. Oggi, più di dieci anni dopo, quei pezzi non sono più sparsi: si stanno fondendo in un disegno oscuro, dove ogni regione del mondo sembra scivolare verso il conflitto, l’instabilità, la prova di forza permanente.

Siamo nel cuore di un secolo che rischia di essere definito non solo dall’intelligenza artificiale, dalle migrazioni o dai cambiamenti climatici, ma da una catena ininterrotta di guerre, escalation e confronti armati. L’umanità pare intrappolata in un tempo senza pace.

L’attacco di Israele e le terribili minacce dell’Iran, evocano immagini da Apocalisse nucleare. Una “tempesta di fuoco” potrebbe davvero scatenarsi sul mondo se dovesse esplodere in maniera devastante il confronto diretto tra Israele e la Repubblica islamica, con il rischio concreto di coinvolgimento americano e reazioni a catena in tutto il mondo arabo. Intanto Gaza continua a bruciare, e la guerra sta producendo una catastrofe spaventosa.

Israele, guidato da un governo sempre più estremista, non mostra segni di voler rallentare. Ogni tregua è temporanea, ogni appello alla moderazione viene soffocato sul campo. Il mondo sembra impotente. E, in questa impasse diplomatica, le armi continuano a parlare.

Nel cuore del continente, la guerra tra Russia e Ucraina è già diventata qualcosa di più grande. Non è più soltanto una guerra di confine, ma un fronte ideologico e strategico tra due visioni del mondo. La Russia di Putin ha giurato di non fermarsi all’Ucraina, evocando ormai apertamente i “confini storici” e l’epoca imperiale zarista o sovietica.

Le repubbliche baltiche, la Moldavia, persino la Polonia vivono in stato di allerta. E intanto l’Europa, pur tentando una resistenza unitaria, mostra crepe politiche, divergenze strategiche, dipendenze energetiche irrisolte.

Cina: il gigante silenzioso

Pechino per ora osserva. Ma non resterà a guardare. Le tensioni su Taiwan, le manovre militari nel Mar Cinese Meridionale, la nuova alleanza strategica con Mosca, tutto indica che la Cina è pronta a muoversi quando riterrà opportuno. E se il Pacifico dovesse incendiarsi, gli Stati Uniti non potrebbero restare neutrali.

A quel punto, l’incubo di un conflitto mondiale non sarebbe più ipotesi, ma tragica realtà. Gli equilibri globali si stanno sgretolando, mentre i linguaggi della diplomazia sembrano incapaci di contenere le logiche da guerra fredda, o peggio, da guerra calda.

La “guerra mondiale a pezzi” rischia di non essere più una metafora, ma una diagnosi. Ogni conflitto è ormai collegato agli altri: ciò che accade a Gaza risuona in Ucraina, ciò che minaccia Taiwan rafforza o indebolisce la postura di Teheran, le mosse di Mosca influenzano i mercati, le elezioni, le strategie militari occidentali.

E l’umanità, attonita, sembra essersi assuefatta. L’opinione pubblica globale guarda, commenta, si indigna, ma poi scivola nell’indifferenza. Anche il nuovo Papa, con voce ferma, continua a ricordare che ogni vita conta, che ogni guerra è una sconfitta.

Ma sarà ascoltato? O la profezia di Francesco, già avverata, è destinata a diventare la nuova normalità del nostro secolo?