C’è qualcosa di profondamente simbolico nel fatto che, in un tempo dominato dalle paure atomiche, dalle nuove guerre e dalla retorica degli armamenti, una città del Sud come Cosenza abbia scelto di ospitare una mostra che non parla di bombe, ma di persone. Non di arsenali, ma di coscienza. “Senzatomica. Trasformare lo spirito umano per un mondo libero da armi nucleari” non è un’esposizione come le altre: è un atto politico nel senso più nobile del termine, un invito alla responsabilità individuale e alla consapevolezza collettiva, quasi una rivoluzione interiore che precede, e rende possibile, ogni cambiamento storico.

La mostra si è inaugurata il 1° dicembre, alla Città dei Ragazzi, alla presenza del sindaco Franz Caruso, con una partecipazione sentita che ha segnato simbolicamente il ritorno del tema del disarmo nel dibattito pubblico cittadino. E non capita spesso, nell’Italia di oggi, dove la questione atomica torna sui giornali solo quando i venti di guerra riaprono scenari che si speravano archiviati. Eppure è qui, tra i sedici pannelli dell’esposizione, che prende forma una consapevolezza più radicale: la minaccia nucleare non riguarda gli strateghi, ma gli esseri umani, le loro scelte, la loro etica quotidiana.

Dal 1 al 14 dicembre, Cosenza ospita un percorso che ricostruisce la follia della deterrenza, la storia delle armi atomiche, le loro conseguenze e soprattutto la responsabilità dell’individuo. Il progetto nasce dalla Fondazione Be The Hope, ispirata al pensiero del maestro buddista Daisaku Ikeda, e realizzata con i fondi dell’8x1000 dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai. Il cuore della mostra è semplice e rivoluzionario: non si può cambiare il mondo se prima non si cambia lo spirito umano. È un’eredità che richiama direttamente l’impegno di ICAN, la campagna globale per l’abolizione delle armi nucleari, Nobel per la Pace 2017, di cui Senzatomica è uno dei principali partner italiani. Ma è anche un metodo, un modo di guardare la realtà: il disarmo non è un trattato tra potenze, è una cultura; non è una scelta militare, è un’etica; non è un documento, è un cammino.

Il 5 dicembre, il primo appuntamento speciale ha messo in scena un dialogo interreligioso autentico, organizzato in collaborazione con il gruppo interreligioso e moderato da Carlo Antonante. Un incontro che ha intrecciato voci, tradizioni e sensibilità diverse attorno allo stesso interrogativo morale: che cosa significa educare alla pace nell’era atomica? In una fase storica dominata dalla polarizzazione, in cui la politica divide e i media esasperano i conflitti, mettere attorno a un tavolo diverse tradizioni religiose significa tornare all’essenza della convivenza: la condivisione del destino umano. E mentre la città dialogava, il mondo attorno continuava a cambiare: secondo l’ultimo rapporto SIPRI, il numero di testate nucleari pronte al lancio è aumentato del 13% rispetto all’anno precedente; le grandi potenze investono nella modernizzazione degli arsenali; le tensioni globali, dall’Ucraina al Pacifico, riportano la minaccia atomica al centro della storia.
Una follia lucida, travestita da logica militare. È proprio per questo che una mostra come Senzatomica diventa più che un evento: diventa una forma di resistenza morale, un modo per non lasciarsi anestetizzare dalla normalizzazione del rischio.

Il programma guarda ora al prossimo appuntamento, previsto per sabato 13 dicembre alle ore 18:00, un momento decisivo che riunirà quattro docenti dell’Università della Calabria: Roberto Beneduci, Deborah De Rosa, Giovanna Vignelli e Luca Lupo, moderati dal ricercatore Vincenzo Caligiuri. Il tema scelto, “Creare il disarmo: scienza, filosofia e politica nell’era atomica”, è quello che oggi servirebbe a ogni Parlamento del mondo.
La scienza ci dice che un conflitto nucleare sarebbe la fine del pianeta; la filosofia ci ricorda che il potere che non si autolimita diventa distruzione; la politica promette trattati che poi non firma e conferenze che poi diserta. E allora tocca alle università, alle città, alle comunità culturali aprire spazi di riflessione che la geopolitica non sa aprire. In questo senso Cosenza dimostra che anche una piccola città del Sud può e deve parlare di disarmo. Perché tutto ciò che è umano nasce in piccolo: l’opinione pubblica nei caffè illuministi, le rivoluzioni morali nei monasteri, i movimenti pacifisti nelle piazze di provincia. Cosenza sceglie di farlo parlando di spirito umano, di educazione, di responsabilità personale.

La Senzatomica non è una mostra: è un appello. Ai cittadini: informatevi. Agli studenti: immaginate un futuro diverso. Ai docenti: riportate la pace al centro dell’educazione. Agli amministratori: fate della cultura un presidio democratico. Ai leader globali: ricordatevi che tra la vita e la morte del mondo può fare la differenza una sola firma o una sola omissione. La minaccia nucleare non è un ricordo della Guerra Fredda: è adesso. Conta adesso. Bussa adesso. E mostre come questa non ci salvano dal pericolo, ma ci salvano dall’indifferenza. Le armi nucleari sono il fallimento dell’intelligenza umana; il disarmo è la sua più grande possibilità di riscatto.
Senzatomica invita Cosenza, e ognuno di noi, a scegliere da che parte stare, non tra Stati o ideologie, ma tra paura e speranza, tra rassegnazione e futuro. Non basta una mostra per cambiare la storia, ma può bastare una mostra per cambiare uno sguardo. E spesso, nella storia, è da uno sguardo nuovo che nasce tutto il resto.