VIDEO | Premiato dal Gambero Rosso, il maestro di Corigliano Rossano spiega come la pizza possa diventare linguaggio culturale, educare al cibo di qualità e proporre alternative sane e territoriali
Tutti gli articoli di Food
PHOTO
In un’epoca dominata dalla fretta, il junk food si è insinuato nelle abitudini alimentari, soprattutto tra i giovani, diventando una presenza quasi inevitabile. Non è solo questione di ingredienti industriali o conservanti: a pesare è anche la perdita di consapevolezza sul significato del cibo, ridotto a semplice consumo rapido. Le famiglie hanno smarrito il valore dell’educazione alimentare e spesso, per comodità, hanno trasmesso ai figli scelte sbagliate, orientandoli verso alimenti privi di identità e radici. Così il rapporto con il cibo si è alterato, favorendo sovrappeso e squilibri nutrizionali.
Eppure, il cibo resta molto più che nutrimento: è cultura, memoria, territorio. La differenza la fa chi riesce a raccontare una storia attraverso un piatto, riportando al centro qualità, pazienza e rispetto delle materie prime. Di questo abbiamo parlato con Daniele Campana, maestro della pizza in teglia, erede di una tradizione familiare trasformata in missione. Con i suoi locali di Corigliano – Campana Pizza in Teglia e Campana 12, entrambi premiati dal Gambero Rosso – ha fatto della pizza un veicolo di identità calabrese. Per lui non è solo un prodotto, ma un linguaggio capace di unire gusto, tradizione e innovazione.
Il problema dell'obesità è dovuto solo al cibo spazzatura o c'è anche un modo sbagliato di rapportarsi al cibo?
«Il problema dell'obesità non nasce solo dal cibo spazzatura. C'è anche un modo sbagliato di rapportarsi al cibo, dovuto alla mancanza di consapevolezza da parte dei genitori, che hanno spinto i figli a consumare alimenti spazzatura, trascurando un'educazione alimentare di sana qualità».
Quali fattori rendono il cibo spazzatura così irresistibile per le nuove generazioni?
«L'industria ha capito che il consumo veloce e facile rappresenta un grande mercato. Inoltre, la società ha perso la consapevolezza del prodotto di qualità, spingendo le nuove generazioni a consumare alimenti che mancano di una storia e di un produttore con un'identità e un'integrità morale».
Come riesci a trasmettere il valore del tempo e della pazienza che ci sono dietro una pizza fatta a regola d'arte in un mondo che va sempre di fretta?
«All'inizio è stato difficile far capire il valore del tempo ai consumatori, poiché il consumo di pizze senza qualità si era triplicato. Tuttavia, grazie all'esposizione mediatica e a un cambio generazionale, le persone si stanno approcciando al mondo della pizza con maggiore consapevolezza».
Come giudichi il livello medio di qualità dei prodotti e della ristorazione a Corigliano-Rossano?
«Il livello medio della qualità nella ristorazione locale era basato su linee obsolete, dove gli artigiani si dedicavano a offrire ciò che la clientela voleva. Tuttavia, delle scelte impopolari fatte in passato hanno permesso di spezzare questa catena e di valorizzare il territorio, dimostrando che la strada da seguire era quella della qualità».
Come può un cliente riconoscere una pizza di qualità?
«Una pizza di qualità si contraddistingue dalla stagionalità degli ingredienti. Se in una pizzeria si trovano tutto l'anno prodotti fuori stagione, come la zucca o le melanzane, significa che si affidano a prodotti scatolati e processati, privi dell'identità del territorio».
La pizza di qualità può essere un'alternativa valida e appetibile al fast food per i giovani?
«Sì, la pizza in questo momento rappresenta l'unica alternativa valida al junk food, e i giovani si stanno approcciando al mondo della pizza in modo completamente diverso. È importante però che venga dato spazio a chi fa informazione e che i clienti siano portati verso scelte consapevoli.»
Quanto conta la conoscenza tecnica dell'impasto e della farina? È più scienza o più sensibilità artigiana?
«La pizza è scienza a tutti gli effetti, ma è fondamentale unire la tecnica e la conoscenza con l'artigianalità. I pizzaioli artigiani devono saper scegliere farine non trattate e sviluppare una sensibilità verso l'impasto, che richiede attenzione costante per ottenere un prodotto di altissima qualità».
Quali sono le nuove tendenze o tecniche che vedi emergere e che ti intrigano? Stai sperimentando qualcosa di nuovo nel tuo laboratorio?
«Al momento, la pizza in teglia è la pizza più in evoluzione. L'artigiano sta portando avanti un progetto che valorizza gli impasti e li rende parte integrante dell'ingrediente. Un esempio è la rivisitazione della pizza con i "frittuli", utilizzando la pancetta di maiale nero a bassa temperatura per rendere l'impasto parte della ricetta».
C'è una ricetta che consideri la più rappresentativa della tua idea di pizza, quella che racconta meglio Corigliano-Rossano?
«La pizza che lo rappresenta di più è la "Pomodoro di Campana", fatta con pomodoro 100% calabrese, un olio extravergine d'oliva monocultivar e l'origano del Pollino. Questa pizza racconta un territorio unico attraverso ingredienti che ne esprimono l'identità e la qualità».
Se dovessi scegliere un solo prodotto locale per una pizza, quale sarebbe?
«Sceglierei le alici di Schiavonea».
In un mondo dove la pizza è ormai globale, quale secondo te l'elemento che fa la differenza e ti distingue?
«L'elemento che mi distingue è la territorialità delle pizze. Scelgo di valorizzare i prodotti locali e di alimentare un'economia che appartiene al territorio, utilizzando eccellenze come, appunto, le alici di Schiavonea o il pomodoro calabrese».
Che consiglio daresti a un giovane che sogna di aprire una pizzeria oggi?
«Consiglio di partire dalle basi dell'imprenditoria. Oltre all'arte di fare un grande impasto, è fondamentale avere una conoscenza globale dell'alimentazione a 360 gradi, che includa la gestione dell'attività, i processi di conservazione e cottura e lo studio di materie prime con un'identità e un significato».
Guardando al futuro, dove vedi la pizza calabrese tra dieci anni?
«La vedo da Campana12, tra dieci anni, come frutto delle sperimentazioni che sto portando avanti nel laboratorio. Penso che il futuro sia nella rielaborazione delle ricette tradizionali in chiave moderna, come ho fatto con la mia pizza "fichi e 'nduja", trasformandola in una proposta con confettura di fichi e ricotta affumicata. E pensare che quando la proponevo le prime volte più volte a fine serata la consumavo per non buttarla. Oggi è tra le più richieste».