Icona senza tempo della musica, era originaria proprio del paese catanzarese ma ha vissuto in Egitto e poi a Parigi. Si tolse la vita nel maggio del 1987. Aveva solo 54 anni
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Ho scoperto e approfondito la mia conoscenza di questo mito della canzone italiana, grazie a una serata che feci qualche anno fa in provincia di Catanzaro, a Serrastretta, con Barbara D’Urso e Cristiano Malgioglio e per l’occasione recuperai, quella che è stata la sua ultima intervista.
Dalida ci ha lasciati a 54 anni, nella notte tra il 2 e 3 maggio 1987.
“La vita mi è insopportabile. Perdonatemi” Con queste parole scritte su un biglietto, ritrovato sul comodino, nella sua casa di Montmartre, sprofondava in un sonno senza risveglio, ingerendo quattro scatole di sonniferi affogandole con del whisky.
Aveva già provato a togliersi la vita 20 anni prima, dopo il suicidio del suo grande amore Luigi Tenco. Nella stanza 104 dell’Hotel Prince de Galles dove negli ultimi mesi era stata con il cantautore italiano, anche lì si addormenta in un sonno indotto dai farmaci. Venne trovata e salvata dalla donna di servizio, in stato comatoso.
L’inizio della fine sembra arrivare con Ciao amore, ciao, la canzone scelta per il festival da Luigi Tenco. Il sodalizio tra i due, fatto di incontri, registrazioni, prove, si trasforma presto in una passione che si alimenta nel segreto. Ma la canzone non viene scelta dalla direzione del Festival che prega Dalida di optare per un altro pezzo. - Lei è inflessibile: “o Ciao amore, ciao o niente”.
Così, la sera del 26 gennaio 1967 l’orchestra intona le note della canzone. Tenco la interpreta con il suo sguardo buio, la bocca contratta, i modi sfuggenti che lo rendono spesso distaccato dal pubblico.
Quando è la volta di Dalida, invece, ogni parola trova il suo pieno significato.
L’investimento su questa canzone è totale per Tenco, il riconoscimento della sua visione del mondo, della sua protesta contro una società che condannava gli ultimi all’emarginazione, alla miseria. La sua canzone, però, non trova l’accoglienza sperata, anzi viene esclusa. E per lo sconforto, invece di concludere la serata con la prevista cena del festival, decide di restare in hotel. Anche Dalida, poco dopo, chiede di tornare in hotel, trovarsi sola a quella cena le sembra fuori luogo. Non aspetta che di rivedere Luigi. Corre da lui, la porta della sua stanza non è chiusa a chiave. Le basta spingere per entrare. È lei a trovarlo disteso a terra, a pancia in giù. Sembra dormire. Ma quando gli prende la testa tra le mani, la camicetta si macchia di sangue. Chiama aiuto, gridando a squarciagola. Ancora non comprende. Poi è un biglietto scritto da Luigi, trovato sul letto, a svelare le ragioni del suo gesto, una pallottola sparata alla tempia. Quell’evento segna l’aggravarsi di un malessere già dentro di lei. Quella morte la priva dell’amore, come quello di suo padre, anni prima.
Dalida, ovvero Iolanda Cristina Gigliotti, diva internazionale, era nata in Egitto, al Cairo, ma aveva origini italiane. Il nonno, Giuseppe Gigliotti, sul finire dell’Ottocento, dal paesino di Serrastretta in Calabria, aveva deciso di emigrare. L’Italia offriva solo miseria e disoccupazione. Nel 1893, Giuseppe realizzava il suo sogno: raggiungeva Il Cairo, in breve tempo diventava un sarto esperto e sposava Rosa, con la quale metteva al mondo tre figli: Venicio, Eugenio e Pietro.
Il più giovane Pietro era fantasioso e creativo. Dall’età di quattro anni suonava il violino, studiava assiduamente, si era diplomato fino a diventare uno dei migliori musicisti della capitale. Aveva fatto innamorare la bella Giuseppina, giovane italiana fuggita dall’Italia per scappare ai pettegolezzi delle malelingue. Dalla loro unione nacquero Bruno, il primo figlio, nome d’arte Orlando, e Iolanda Cristina, nome d’arte Dalida, nata il 17 gennaio 1933.
Furono la sua tenacia e il grande desiderio di affermarsi nel mondo dello spettacolo, a spingerla a lasciare l'Egitto a 20 anni per trasferirsi a Parigi e tentare la fortuna in Europa.
Anche nell’ultima intervista, rilasciata qualche mese prima di morire, Dalida racconta del suo legame con Serrastretta. È stata rilasciata tra Montreal e Parigi, al FFM-Festival des Films du Monde del 1986, dove aveva presentato con Josef Chahine Le sixième jour di cui era protagonista.
Eccola la domanda del giornalista, estratta dall’ultima intervista, dove lei risponde indicando la Calabria quale sua terra d’origine.
Giornalista: "Dalida, sempre più internazionale. Ma sempre legata alle sue origini. Nella sua ultima canzone "Le venitien de Levallois" canta di immigrazione e integrazione. Temi a cui è sempre sensibile".
Dalida: "Certo, anche perché non riguardano solo me, ma più o meno direttamente tutti. Come nel mio caso, cantante e attrice italiana, naturalizzata francese, figlia di genitori italiani trasferitisi in Egitto e originari di Serrastretta in Calabria"