Un’esistenza segnata da sacrifici familiari, passioni inattese, confronti chiave e dalla scelta di abbandonare la politica per la cronaca, tra sequestri, viaggi e momenti storici indimenticabili
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L’asilo e le scuole elementari al mio paese. Dalle suore che erano lì, numerose, per volontà dei Marchesi Nunziante che avevano voluto, ad ogni costo, la nascita di quella che per anni, è stata frazione di Rosarno. Nonostante mugugni, proteste, differenze di comportamenti. Rigorosamente col grembiulino ed il fiocchetto azzurro. Di giornalismo neanche l’idea di cosa fosse, solo che vedevo arrivare con la posta, ogni giorno, un quotidiano, quello che fu il Giornale d’Italia, del quale mio padre era divenuto corrispondente. Gli davo uno sguardo rapido, ma senza capire granchè. Mi affascinava di più la radio che, puntualmente, era accesa al momento del “comunicato”.
E così avevo cominciato a sentire i primi termini del politichese. Governo, Parlamento, leggi, Gronchi, Fanfani, Moro. Nulla di più. Attendevo ai miei compiti, la levataccia, lo studio, l’Azione cattolica con le fiamme verdi, rosse.
Mia madre era casalinga, mi padre insegnante elementare e, all’inizio, a Spina di Rizziconi, da vincitore di concorso. Tanto che si vide costretto a comprare un guzzino per poterci andare. Spesso tornava con una decina di uova, qualche volta con un pollo vivo, per la gioia di mia madre. Io andavo alle scuole elementari che erano in paese, a differenza delle medie che dovevamo raggiungere in autobus.
Alle sette del mattino, tutti in piazza per partire, tra una spinta e l’altra con l’aiuto di tutti, proprietari (Aglioti, Camilleri, Vardè) dei fattorini (Peppino e Ciccio) dei compagni più forzuti. Arrivavamo sempre in tempo, qualche volta prima di quelli che abitavano a Rosarno. Scuole sempre miste. Ma questo serve per capire i sacrifici che facevamo per andar a scuola, mai come quelli che aveva fatto mio padre che andava alle magistrali di Vibo Valentia in bicicletta!!!! Cento chilometri al giorno di pedalate, fra andata e ritorno. Niente di fronte a quello che gli sarebbe capitato nelle avverse vicende della vita.
Io andavo a scuola. Come tutti i bambini del mondo. Del giornalismo non avevo la più pallida idea. Salto tanti passaggi che pure sarebbero (stati) interessanti. Avevo un zio che era avvocato a Milano, in piazza della Vetra. Ben avviato. Ed aveva convinto mio padre a farmi fare il dottore commercialista, giacchè nel suo studio gli avvocati erano già due. Così, finite le superiori, mi iscrissi all’Università di Messina.
Il primo viaggio tra Gioia Tauro e Villa San Giovanni in treno, poi la corsa verso l’imbarcadero, per il traghetto. La prima volta. Un’esperienza emozionante. In compagnia di colui il quale (requiem aeternam), Franco Punturiero mi fece da guida l’intera giornata. Dalla noiosissima fila alla segreteria, alle aule e finanche a quel Select, che era il ritrovo più accorsato della città: Franco, un gran signore. Non mi ha mollato un istant facendomi conoscere il viale San Martino, di grande lusso e le stradelle per raggiungere il porto dall’Università. Non finirò mai di ringraziarti Franco!
Come fu come non fu arriva il giorno della laurea in economia. Con la testa ero a Milano a fare il commercialista. Ma non avevo fatto i conti con il servizio militare. In attesa della cartolina precetto mi divertivo non poco a fare politica con i giovani della Dc, il cui Movimento era molto attivo. Ero ad Augsburg a fare un corso di formazione politica internazionale, quando dall’albergo, mi dissero di chiamare subito mio padre. Non sapevo cosa pensare, invece e non è poco, era arrivata la cartolina precetto. Cinque giorni di tempo per raggiungere Maddaloni in provincia di Caserta.
Raccolte le bagattelle presi l’indomani il primo treno per Reggio Calabria, un giorno a casa e poi, la partenza per Maddaloni tra le lacrime di mia madre, la commozione nascosta di mio padre (lui che era partito nl 1939 per il servizio militare, finì in guerra in Libia, fatto prigioniero dagli inglesi e tornò (lui sì!) nel1946 in tempo per non vedere morire una sorella ed il padre!
Beh. Siamo al servizio militare. In testa, tra una presentat’arm ed un guardia notturna, mi era balenata l’idea di fare politica. Poco prima di partire ero vice delegato provinciale di quel Movimento giovanile della Dc che tante benemerenze aveva acquisito nello stimolo del barone Nesci, del sottosegretario Vincelli, dell’on. Quattrone e successivamente dell’on. Ligato che da deputato aveva acquisito il merito, grazie al ministro Misasi, di divenire nientedimeno che “presidente” delle Ferrovie dello Stato. Un bravissimo giornalista ma poco di più, non un manager. Io, nel frattempo, studiavo da leader dei giovani, avevo in mente di prendere il posto di Lillo Manti, che era il numero dei giovani diccì, ma i metodi seguiti non mi piacevano. Continuavamo a fare guerra all’establishment della Dc di allora, ci prendevamo le nostre piccole soddisfazioni con Gianfranco Falduto, Titti Licandro, Piero Praticò, Paolo Arillotta, Oreste Arconte, Mimmo Gangemi, Nato Scopelliti e tanti altri, ma più che spegnere un cerino non riuscivamo.
Nel frattempo, avevo avuto alcuni mesi di supplenza, all’istituto tecnico commerciale, cattedra di diritto e di economia, dove avevo alunne più grandi di me, mentre il pomeriggio lo trascorrevo nella redazione reggina della Gazzetta del Sud, guardando come si muovevano e scrivevano Ligato, Enzo Laganà, Luigi Malafarina. Allontanai l’idea della politica perchè rispondere al telefono e scrivere dieci righe di cronaca mi piaceva di più perché si aveva a che fare con fatti concreti e non con l’illusione di poter cambiare il mondo neanche quando l’on. Vincelli da sottosegretario ai trasporti ci dava un biglietto di seconda classe per andare al Ministero e vedere dal vivo come si faceva politica. Nulla di nulla. Era piacevole perchè eravamo a Roma, ma poco di più. Era più bello far finta di fare il giornalista.
Ricordo che una volta venne Ligato a trovarmi a Messina dove alloggiavo in un pensionato per studiare. Mi aveva invitato a sbrigarmi per la laurea perché poi si sarebbe impegnato a farmi assumere al giornale come praticante. Immensa soddisfazione, che durò l’espace di un matin. Insomma parto per il servizio militare e mi viene in mente di fare il giornalino del corso che si chiamava : “Attenti al 33” dal numero del Corso. Finiti i tre mesi di corso ed essendomi classificato terzo, mi diedero la facoltà di scegliere la destinazione per i rimanenti dodici mesi. Scrissi Reggio o Roma. Finii a Catania perché era la città più vicina a quelle da me chieste. Pazienza!
Mi viene la brillante idea di portarmi la mia 500, che era rimasta in garage. Talchè ogni settimana facevo Catania-Messina-San Ferdinando. A Messina mi fermavo a salutare il grande capo Gianni Morgante, poi Totò Palomba che si era inventato il Giovedi dei Giovani e Vincenzo Bonaventura che curava la Terza pagina. Con loro instauro un ottimo rapporto. Al punto che mi avevano convinto a scrivere per il giornale di Bonino. Senza una lira. 300 lire a pezzo mi pare. Non me ne fregava niente. La soddisfazione della firma era più grande.
Arriva il momento in cui occorre pensare ai soldi. E così, ultimato il servizio militare mi do da fare e trovo posto all’Ente provinciale per il turismo di Reggio Calabria. Guadagnavo il danaro sufficiente per vitto e alloggio in una pensioncina centrale. La Gazzetta era vicina, così di mattina andavo in ufficio ed il pomeriggio facevo finta di fare il giornalista. Ed il tempo passava, il commercialista era rimasto un sogno, neanche. Un giorno, vero colpo di fortuna, vengo invitato a fare dieci giorni Turchia con un gruppo di altri giornalisti di ottimo livello tra cui Franco Bucarelli, inviato speciale del Gr2 di Gustavo Selva. Mai viaggio è stato più affascinante e più istruttivo. Prima di partire avevo ottenuto l’assenso dei vertici del giornale di scrivere qualche pezzo per la terza pagina della Gazzetta.
Dopo i classici dieci giorni, al ritorno a casa, scrivo otto pezzi sulla visita ad Ankara, sui divertimenti e sul ponte di Istanbul, sulla moschee, sulle notte turche, cose da Turchi, davvero. Ricevo il plauso dell’illustre direttore Calarco, che mi ha sempre accontentato le poche volte che l’ho disturbato ( non potrò mai dimenticare il pezzo sull’improvvisa morte di mia madre, con forti considerazioni critiche sul ricovero ospedaliero) ma anche di Muhittn Ylmaz il capo dei turchi che ci aveva ospitato.
In Turchia tra una visita e l’altra, comprese le canzoni napoletane curate da Franco Bucarelli in un locale-ritrovo di Istanbul, rafforzo l’amicizia con il collega napoletano. Vado a trovarlo almeno una volta al mese a Via del Babuino, mi presenta Gustavo Selva, Rino Icardi, Luca Liguori, di loro divento amico. Mi propongono di lavorare in Rai. Ma per «motivi o politici e questioni organizzative» mi dice Selva, non riesco in quella tornata di assunzioni. Dovrò aspettare il 1982 perchè arrivasse il mio turno assieme al collega carissimo Pino Nano.
E così abbandono l’idea della Gazzetta e mi tuffo in Rai. Avrei scelto il Gr2, ma finisco volentieri alla redazione calabrese che, come tutti sanno è a Cosenza. E qui mi trasferisco non senza una breve esperienza da programmista regista, grazie al direttore Antonio Minasi, grande organizzatore. Da allora fino qualche anno fa, frequento i saloni di Via Montesanto, conduco il primo telegiornale dalla nuovissima sede di Via Guglielmo Marconi e poi via via tutti gradi. Rinuncio a fare il capo servizio preferisco fare l’inviato speciale, poi il vice caporedattore, per chiudere con la responsabilità della redazione, il periodo meno dolce della mia vita professionale.
Comunque non potrò mai dimenticare nulla. Il primo servizio al mercatino di Cosenza e via via i sequestri di persona. Tra cui quello di Cesare Casella, di Carlo Celadon (quante lacrime vere versate) e quello di Rocco Lupini che fu sequestrato assieme alla madre, medico condotto di Molochio che fu rilasciata per trovare i soldi per il riscatto (non dimenticherò mai il momento di notte del rilasci con Rocco fuori dal mondo, il passaggio alla politica, che ho sempre seguito con discrezione e attenzione). Avrei dovuto sottolineare la non giusta tensione ed attenzione con cui venivano affrontati e seguiti i problemi calabresi, i ritardi ingiustificati ed incomprensibili nell’inizio dei lavori, gli scontri, quasi fisici, tra consiglieri, le notti in bianco perchè mancava sempre un busillis, l’attesa per un ritardatario determinante. Poi naturalmente la visita di Giovanni Paolo II a Reggio e Serra San Bruno, quelle toccate a me, e le nottate in Aspromonte alla ricerca di latitanti e sequestratori: una tra tutte quella con Nicola Calipari. Lo ripeteresti il lavoro fatto? Certo, da subito, anche se l’età non mi consentirebbe più quello che feci dal 1982 fino a qualche anno fa.