Nei suoi versi non manca mai il riferimento alle origini e alla bellezza della natura che ci circonda. Gli inizi? «Mentre rincasavo con le caprette dell’azienda di famiglia, mi sono fermato e ho deciso che dovevo trovare una forma per esprimere quel che provavo guardandomi attorno»
Tutti gli articoli di Storie
PHOTO
Francesco Pio Roma, poeta, studente e studioso calabrese, giovane appassionato del territorio calabrese e fortemente devoto alla sua amata Longobucco, che rappresenta la fonte primaria della sua ispirazione poetica. Lo abbiamo raggiunto nel suo meraviglioso paradiso montano di Longobucco e, tra un paesaggio e l'altro, finiamo a parlare di cultura e di poesia: «Per me scrivere è camminare: ogni passo diventa un verso, ogni sguardo una poesia», dice Francesco.
Come nasce la tua idea di poesia? È un’esigenza e se sì da dove nasce questa tua esigenza?
«È una fiamma che si è accesa nel mio cuore nell’ottobre del 2019. Mi sono fermato un attimo, mentre rincasavo con le caprette dell’azienda di famiglia, nei pianori del Faghito di Longobucco e in quel preciso momento ho deciso di narrare, di scrutare, di trovare una forma per esprimere quanto provavo. È nata così “ Verseggiare” la mia raccolta poetica, di cui tu, Ernesto, sei stato anche autore della prefazione ai testi. A questo termine – verseggiare – ho voluto associare l’atto di camminare, perché per me la poesia è un uomo alla ricerca del bello, in un cammino che non è solo fisico, ma anche intimo, poetico. È l’arte del camminare che si sposa con l’arte della scrittura: ogni passo diventa un verso, ogni esperienza una versificazione del mio pensiero. La poesia, quindi, per me è un cammino, non una semplice destinazione. E la ragione per cui ho poggiato l’inchiostro sul foglio per la prima volta, scrivendo i miei primi testi, ha preso piede quando mi sono reso conto di possedere il paradiso sulla terra, dinanzi agli occhi, un paradiso che spesso tendiamo a non considerare. A quel punto la penna del cuore si staccai per consumare la carta, perché sin dall’antichità i boschi, i sentieri, le alture e i prati sono stati per i poeti una sosta privilegiata per facilitare il contatto con la musa ispiratrice».
Le tue poesie sono ricche di significato, quali sono i temi cardini?
«Le mie poesie affrontano principalmente l’amore per la natura, le radici e tradizioni, l’amicizia, l’emozione di scoprire la bellezza intorno a me. Sono versi che nascono dal mio vissuto, dalla contemplazione del paesaggio, dalla cura per le persone che amo e dal legame profondo con le mie origini».
La letteratura è la tua passione, oltre che la tua medicina. Come nasce questa passione e quali autori ti hanno maggiormente segnato e ispirato?
«La letteratura per me è una farmacia contro le offese della vita, un rimedio silenzioso ma potente. Credo fermamente nel valore della penna. È nata come esigenza interiore e si è rafforzata nel tempo, fino a diventare un rifugio e una guida. Credo fermamente che dovremmo prendere sempre spunto dai letterati, dai poeti, dagli scrittori, perché la letteratura è anche una risposta alla sofferenza. Gli autori che mi hanno più segnato sono Leopardi, Pascoli, Foscolo, e tanti altri che hanno saputo trattare tematiche profonde e affascinanti, capaci di parlare ancora oggi all’anima».
Il territorio longobuccehese è al centro dei tuoi testi. Che legame hai con Longobucco?
«È un legame intimo, viscerale. A Longobucco si respira, si degusta e si può osservare ovunque poesia. Una poesia oculare, bella e sublime, eternatrice e consolatrice. È la terra dove le mie radici affondano, dove ogni roccia, ogni albero, ogni vicolo sembra dirmi una sua storia. È come se il mio cuore parlasse, vedesse, raccogliesse tutta questa bellezza per poi restituirla al mondo sotto forma di versi. È quindi un luogo vivo, che non smette di ispirarmi e di farmi scoprire ogni giorno sfaccettature nuove della sua anima. È quell’angolo di terra e più degli altri mi sorride e il teatro dei miei componimenti».
È una domanda difficile da fare a un autore/poeta, ma io voglio fartela ugualmente: tra tutte le poesie che hai scritto, qual è quella che maggiormente ti piace?
«La poesia a cui sono più legato si intitola “Patria”. È, a mio avviso, la più bella che io abbia scritto, perché racchiude l’anima di Longobucco, il mio paese, la mia radice, la mia ispirazione. In questi versi ho cercato di restituire tutta la bellezza di un luogo che sento profondamente mio.
La poesia si chiude così:
Oh, Patria mia,
sorriso più dolce
farmaco emozionale
amore puro
Quanto t’amo».
Lo stato in cui versa la poesia oggi è drammatico. Cosa significa per un giovane come te cimentarsi nell’attività della scrittura?
«È una sfida, una forma di resistenza. Scrivere poesie oggi significa non arrendersi all’indifferenza e all’omologazione. È mantenere viva una voce intima, autentica, in un mondo che sembra correre troppo in fretta per fermarsi ad ascoltare.
"Non cercate di prendere i poeti, perché vi scapperanno tra le dita". Scrivere mi rende libero».
A chi dedichi i tuoi successi e a chi devi dire grazie?
«Dedico i miei successi alla famiglia, il mio Infinito Amore; a Longobucco, che è per me Medicina dell’Anima; e a tutto ciò che rende la vita degna di essere vissuta: l’amicizia, il valore più bello. E a mio nonno Angelo, andato via troppo presto , ma sempre vivo nei miei pensieri. Sono certo che, da qualche parte, mi osserva in silenzio e sorride. A loro devo la forza di scrivere, di resistere, di continuare a credere nella bellezza».