La storia del 67enne raccontata dallo youtuber e documentarista Natalino Stasi, è un viaggio esteriore e interiore culminato nella scoperta dell’eremo di Sant’Ilarione che oggi il sessantasettenne definisce "casa"
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Lontano dal frastuono della società, tra le vette dei monti calabresi, vive un uomo che ha scelto il silenzio come bussola e la preghiera come ritmo di vita. Si chiama Frédéric Vermorel, ha 67 anni, è francese d'origine, e da oltre 22 anni è l'eremita dell'Eremo di Sant’Ilarione, nel Reggino. La sua storia è un viaggio, esteriore e interiore, culminato nella scoperta di quella che oggi definisce "casa". A raccontare la sua esperienza, il suo percorso di vita, è lo youtuber e documentarista Natalino Stasi in un video pubblicato recentemente sul web intercettando, come accade puntualmente, l'interesse degli utenti della rete.
L'Approdo a Sant'Ilarione
La scelta di Frédéric non è stata improvvisa, ma il risultato di una lunga ricerca. Il desiderio di una vita incentrata su Dio lo ha portato a studiare teologia e a viaggiare. L'incontro con la Calabria, tuttavia, fu una folgorazione.
«Mi sono innamorato cotto», racconta, ricordando la generosità "incredibile" della gente del Sud, che gli apriva le porte pur senza conoscerlo. L'arrivo all'eremo di Sant'Ilarione, luogo che visitò per la prima volta in una splendida giornata d'inverno, fu decisivo. «Ho avuto l'intima certezza, completamente irrazionale, di essere finalmente arrivato a casa», confida.
Oggi, l'eremo è oggetto di importanti lavori di ristrutturazione. Per questo, in attesa di farvi ritorno, Frédéric ha momentaneamente traslocato in una piccola casa dell'Ottocento, nel cuore di un piccolo borgo a breve distanza. Una sistemazione modesta, che non scalfisce la sua percezione della povertà come nozione relativa, e il suo legame indissolubile con il suo rifugio spirituale.
La regola dell'eremita: silenzio, preghiera e lavoro
Essere eremita, per Frédéric, non significa fuggire, ma centrare la propria esistenza. «Un eremita è fondamentalmente un monaco – spiega – , una persona che per seguire Cristo sceglie povertà relativa, obbedienza e castità, ma a differenza del monaco ordinario, non vive in comunità».
La sua giornata è scandita da una rigorosa regola di vita, divisa in diversi tempi di preghiera, che iniziano alle 5:30 del mattino. Il resto della giornata è dedicato soprattutto alle attività manuali: «Di mattina normalmente più attività manuale: pulizie, cucina, poi c'è l'orto, gli alberi da frutta... ho rifatto infissi, impianto luce, idraulico». L'eremita si definisce ironicamente un "intellettuale borghese che si è ritrovato con le mani nel cemento o nella terra"
Questa scelta di solitudine, lungi dall'essere un guscio di lumaca, è vista come una "cassa di risonanza". La sua solitudine, infatti, gli permette di vivere la vita comune e, al contempo, la vita comune nutre a suo avviso la solitudine.
L'ascolto, l’accoglienza e i sogni per il futuro
Per Frédéric, il vero tesoro della vita è il silenzio, che definisce come il luogo dell'ascolto ma anche come il grembo dal quale nasce la parola. In un mondo dominato dal "chiacchiericcio perpetuo" che porta alla dispersione e alla "inesistenza", l'eremita crede che molti, in particolare i giovani, saranno attratti dalla povertà, dal silenzio, dalla bellezza e dall'incontro vero con gli altri.
Per prevenire le "tentazioni tossiche" della vita eremitica, come quella di sentirsi superiori, Frédéric ha scelto fin dall'inizio di praticare l'accoglienza. Condividere il suo tesoro con gli altri è la messa alla prova concreta della sua fede. L'accoglienza, spesso, è semplicemente l'ascolto, permettendo agli ospiti di "svuotare il sacco".
Guardando al futuro, Frédéric Vermorel coltiva due grandi aspirazioni: un sogno collettivo, «che la Calabria rifiorisca», ed un sogno personale, «di morire qui, possibilmente in riva al fiume».
La storia di Frédéric è la dimostrazione che l'allontanamento dal mondo non è sinonimo di disinteresse, ma può diventare la lente più limpida per osservare e raccontare l'anima dell'umanità.