Originaria della Calabria con radici in Sicilia e oggi residente in Svizzera, racconta la sua battaglia contro la patologia autoinfiammatoria genetica. Dal dolore alla rinascita, trasforma la sofferenza in un progetto di sensibilizzazione e speranza, portando la voce dei pazienti oltre i confini italiani
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Maria, originaria della Calabria ma con radici anche in Sicilia e oggi residente in Svizzera, ha deciso di rompere il silenzio sulla sua condizione: la Febbre Mediterranea Familiare (FMF), una rara malattia autoinfiammatoria genetica. In un mondo in cui le patologie meno comuni spesso rimangono invisibili, Maria trasforma il suo dolore in un messaggio di speranza e consapevolezza.
Con la tenacia e la resilienza che – come afferma lei stessa – le sono state insegnate dalla sua terra e dalle sue origini del Sud, Maria ci guida attraverso il lungo e difficile percorso della diagnosi, un calvario comune a molti affetti da malattie rare, e la sua quotidiana gestione della patologia.
In questa intervista, Maria svela l’impatto della FMF sulla sua vita e sulle sue relazioni, il coraggio di lottare contro l’invisibilità sanitaria, e il valore inestimabile del supporto familiare.
Ma soprattutto, ci parla del legame indissolubile con la Calabria e la Sicilia, due terre che le hanno trasmesso la forza per non arrendersi mai e per fondare il suo progetto di informazione, portando la voce della sua esperienza oltre i confini nazionali.
Ciao Maria. Grazie per la tua disponibilità e gentilezza. Partiamo dall’inizio: qual è la malattia che ti è stata diagnosticata?
«Mi è stata diagnosticata la Febbre Mediterranea Familiare (FMF), una malattia autoinfiammatoria rara di origine genetica. È una condizione che provoca infiammazioni ricorrenti e dolorose in diverse parti del corpo – come l’addome, il cuore, le articolazioni o la pleura – senza una causa apparente. Nel mio caso, i sintomi sono iniziati molti anni fa, ma ci è voluto tantissimo tempo prima di arrivare a una diagnosi. Come spesso accade con le malattie rare, il percorso è stato lungo, fatto di visite, esami e momenti di grande incertezza. Sapere finalmente di cosa si trattava è stato doloroso, ma anche un sollievo: almeno avevo un nome per ciò che stava succedendo al mio corpo».
Quali sono stati i principali impatti di questa diagnosi sulla tua vita quotidiana? Come hai imparato a gestirla?
«All’inizio è stato uno shock. Ti senti come se la tua vita si fosse improvvisamente fermata. Ogni giornata va pianificata intorno ai sintomi, ai controlli medici, ai momenti di fatica. Ho dovuto imparare ad ascoltare il mio corpo, a rispettare i miei limiti e a dare valore anche alle piccole cose. Col tempo ho trovato un equilibrio grazie alla consapevolezza, alla documentazione accurata dei sintomi e a uno stile di vita più sano. Oggi gestisco la mia malattia con disciplina, ma anche con tanta speranza».
Hai incontrato difficoltà particolari nel ricevere cure o supporto per questa condizione? Come è stato il tuo percorso sanitario?
«Tantissime. Quando hai una malattia rara, spesso ti senti invisibile. I medici non conoscono bene la patologia, i protocolli sono pochi e ottenere il trattamento giusto può richiedere mesi o anni. Ho dovuto lottare molto, soprattutto per essere ascoltata. Oggi mi impegno affinché altre persone non debbano passare per lo stesso calvario: per questo collaboro con associazioni e cerco di diffondere informazioni corrette tramite il mio progetto Swiss Med Talk Italia».
La malattia ha influenzato le tue relazioni con la famiglia e gli amici? Come ti hanno sostenuto?
«Sì, inevitabilmente. Una malattia cronica cambia tutto, anche il modo in cui ti relazioni agli altri. Ci sono momenti in cui non puoi partecipare, in cui sparisci perché stai male. Non tutti riescono a capirlo. Ma ho avuto la fortuna di avere accanto una famiglia straordinaria: mio marito, i miei figli, i miei genitori e pochi, ma veri amici. Sono loro la mia forza. Mi hanno sostenuta con amore, pazienza e soprattutto con comprensione, anche in modo concreto e tangibile. I miei genitori mi hanno aiutata enormemente anche dal punto di vista finanziario: in certi momenti critici, abbiamo speso somme considerevoli per visite private e cure all’estero. Ricordo un episodio in particolare: quando le mie condizioni si erano aggravate improvvisamente, mio padre ha organizzato un volo privato per portarmi a Milano, dove potevo ricevere rapidamente gli esami necessari. È stato un gesto di amore immenso, che non dimenticherò mai»
Perché hai deciso di condividere la tua storia con la malattia? Cosa speri che gli altri possano capire o imparare dal tuo racconto?
«Per anni ho vissuto nel silenzio, cercando di nascondere la mia sofferenza. Poi ho capito che il silenzio non aiuta nessuno. Raccontare la mia storia significa dare voce anche a chi non riesce a parlare della propria. Spero che le persone capiscano che dietro ogni malattia rara c’è una vita piena di sogni, di amore e di forza. Voglio che il mio racconto ispiri coraggio, empatia e consapevolezza».
La tua famiglia è originaria della Calabria: cosa significa per te questo legame con la tua terra d’origine? Come ti senti a lei connessa?
«La Calabria è casa, anche se oggi vivo lontano. È il profumo del mare, il calore della gente, la forza delle radici. È una terra che ti insegna a resistere, a rialzarti sempre. Ma dentro di me c’è anche la Sicilia, la terra di mia madre: un’isola che porto nel cuore con lo stesso amore. Credo che la mia forza e la mia resilienza derivino proprio da queste due terre meravigliose, diverse ma unite dallo stesso spirito di dignità, calore e coraggio. Sono fiera delle mie origini e delle tradizioni che porto avanti con orgoglio nella mia famiglia».
Vivi in Svizzera, ma quali sono i collegamenti che mantieni con la Calabria, la Sicilia o con la cultura italiana in generale? Lingua, cibo, tradizioni…
«Tantissimi. Capisco bene il dialetto, e sentirlo mi emoziona sempre. Qualche tempo fa ho ascoltato i miei nonni parlare in dialetto e mi si è riempito il cuore di gioia: è stato come tornare bambina. Amo cucinare i piatti tipici delle mie origini – dalle pitte ‘mpigliate calabresi ai dolci siciliani – e ogni Natale preparo tutto con orgoglio. Mi piace quando mi dicono che le faccio meglio di certe signore del paese! Sono una mamma molto tradizionale: mi piace trasmettere ai miei figli i valori autentici della nostra cultura, soprattutto l’importanza della famiglia e dell’unione. Non mi considero una persona “all’antica”, ma credo profondamente nei valori che mi sono stati insegnati e cerco di mantenerli vivi, giorno dopo giorno. Anche se la Svizzera è la mia casa, le mie radici italiane restano il mio punto di forza, la mia identità più profonda».
Grazie mille, Maria.