Che siano belle e forti per loro stesse, che stiano all’erta, che pretendano rispetto, rivendichino libertà e indipendenza: tramandiamo questo alle generazioni che abbiamo partorito
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C’è una cosa che mi lascia perplessa dell’animo femminile, una cosa che probabilmente ci è stata tramandata dalle generazioni di donne prima di noi e cioè questa inclinazione ad amare incondizionatamente un uomo, di un amore misto a cura materna, sacrificio e sopportazione.
Tre elementi che se portati oltre il limite massimo si trasformano, come ci dimostrano le cronache, in martirio.
La mia domanda è perché arrivare fino a quel punto.
Perché concedere ad un uomo talmente tanta importanza da metterlo al centro delle nostre vite, della nostra salute fisica e mentale, e soprattutto concedergli il potere di togliercela addirittura la vita, magari a coltellate?
So bene che il discorso è molto complesso: i meccanismi irrazionali delle relazioni tossiche, la violenza strutturale della società, la mancata protezione da parte delle istituzioni preposte, la non educazione del maschio e cosi via.
Ma le mie domande restano: perché arrivare fino a quel punto? Perché mettersi nella condizione di dover essere salvate da qualcun altro?
Perché non impariamo a salvarci da sole?
Mi ha fatto molta impressione l’ultimo caso di cronaca, l’assassinio di Pamela Genini, una donna emancipata, di successo, dallo sguardo luminoso, per mano del suo compagno, l’ennesimo uomo violento, prevaricatore e fuori di testa che la picchiava, a quanto pare, dall’inizio della loro relazione, durata poco più di un anno.
Una brutta storia, scioccante per le modalità dell’ultima aggressione e estremamente dolorosa per tutti quelli che Pamela l’hanno conosciuta e non sono stati in grado di aiutarla.
Ma la mia domanda è ancora lì: perché è rimasta?
Me lo chiedo perché parecchi anni fa sono stata aggredita fisicamente da quello che pensavo sarebbe stato l’amore della mia vita. Un uomo bello come il sole, dolce, premuroso, dallo sguardo innamorato e tormentato quanto basta da fare scattare proprio quell’amore femminile incondizionato, condito di cura materna, sacrificio da crocerossina e tutto quel pacchetto lì.
Dopo il primo anno, cominciarono i segnali: aggressività verbale, gelosia, senso di possesso, piccole scenate senza senso, seguite da richieste di perdono con tanto di lacrime di commozione.
E io dentro cominciavo a sentire una punta di disagio e puntualmente la ricacciavo, perché ero innamorata.
Ma per quanto mi sforzassi di non sentirla, quella sensazione era sempre dentro di me.
Sdrammatizzavo, cercavo di convincermi che andava tutto bene, ma dentro sentivo che dovevo stare all’erta.
Durò poco più che qualche altra settimana, fino a quando una sera all’improvviso mi ritrovai con il sangue tra i denti.
Fu un attimo: sorpresa, paura, dolore, delusione e subito dopo rabbia. Mi difesi e riuscii a chiuderlo fuori di casa, a doppia mandata. E non riaprii mai più quella porta.
Mi feci aiutare da chi mi amava davvero e lui sparì dalla mia vita. Non risposi mai più al telefono, né alle sue mail disperate con richieste di perdono. Niente.
Ero a pezzi, perché lo amavo ancora tanto.
Ma amavo di più me stessa e quindi finì così, me lo strappai dal cuore.
Aveva osato toccarmi una volta sola, non sarebbe mai successo una seconda.
Perché l’errore è lì: perdonarli la prima volta.
So che non sempre è così semplice, ma so anche che tutte noi la sentiamo quella voce dentro che ci avverte di stare all’erta, fin dal primo istante. Dobbiamo ascoltarla, seguire l’istinto, quello profondo, che non sbaglia mai.
Loro sembrano più forti, ma non è vero. Lo sappiamo tutte noi a chi appartiene davvero la forza.
Siamo capaci di fare cose incredibili, da sole.
Non abbiamo bisogno di mettere la nostra vita o addirittura la nostra morte nelle mani di un uomo, per quanto grande possa essere questo dannato amore senza cui siamo convinte non si possa vivere.
Sento spesso quello slogan che dice che per combattere la violenza di genere bisogna educare i figli maschi: educate your son. Il che è vero, ma secondo me è ancora più importante educare le nostre figlie, fare capire loro che non devono mai farsi mancare di rispetto, nemmeno a parole, da nessuno.
Devono imparare a non sentirsi proprietà di un uomo, a non permettergli mai di condizionare, o peggio reprimere, il loro modo di essere, di pensare, di agire.
A diffidare di quei “sei solo mia”, sussurrati all’orecchio con trasporto.
Essere amate davvero vuole dire essere lasciate libere di essere quello che si è.
Essere una compagna non vuol dire sacrificarsi per risolvere i problemi esistenziali, l’aggressività, il dolore, il narcisismo dell’uomo di turno. Per quello ci sono gli psicologi.
Insegniamo questo alle nostre figlie, invece di portarle fin da adolescenti a fare cerette brasiliane, manicure improbabili e shopping compulsivi, per essere belle e piacenti per il mondo maschile.
Che siano belle per loro stesse, che siano forti per loro stesse, che stiano all’erta, che pretendano rispetto, rivendichino libertà e indipendenza.
Che non si facciano mai mettere in gabbia dal primo coglione che capita, soprattutto se sembra il principe azzurro.
Tramandiamo questo alle generazioni che abbiamo partorito, rompiamo il vecchio ciclo.
Solo allora, forse, ci saranno meno coltellate nella notte, a spezzare il cuore di tutte noi.