«Facciamo un altro mestiere», ha detto l’allenatore. Eppure non serve essere un politico o un intellettuale per alzare la voce contro un’ingiustizia: lo hanno fatto anche campioni che resteranno nella storia
Tutti gli articoli di Opinioni
PHOTO
NAPLES, ITALY - MAY 23: Gennaro Gattuso, Head Coach of SSC Napoli looks on prior to the Serie A match between SSC Napoli and Hellas Verona FC at Stadio Diego Armando Maradona on May 23, 2021 in Naples, Italy. Sporting stadiums around Italy remain under strict restrictions due to the Coronavirus Pandemic as Government social distancing laws prohibit fans inside venues resulting in games being played behind closed doors. (Photo by Francesco Pecoraro/Getty Images)
Premesso che se una persona è calabrese come me io non penso che sia automaticamente migliore, perché sarebbe davvero ridicolo pensarlo, ma tra le tante dichiarazioni ripugnanti su Gaza quella di Gattuso è forse la meno attesa e la più deludente.
«Facciamo un altro mestiere», ha detto l’allenatore, chiaro.
Non ci voleva certo lui a ricordare chi sia lui e cosa sia l’intelligenza media del mondo che rappresenta. Ma poi quale sarebbe questo mestiere così speciale? Quello che ti permette di chiudere gli occhi mentre altri, perdono braccia e gambe per sempre sotto le bombe? Quello che ti assicura milioni di euro e una vita lontana dalla polvere e dal sangue, mentre intere famiglie non hanno più una casa, una scuola, una terra? Quello che ti permette di pontificare dal lusso dei tuoi milioni, mentre c’è un esercito che spara sui bambini che aspettano in fila il cibo?
Si; è proprio questo il suo mestiere e lo ha detto nella sua più totale ingenuità, tipica di chi è da sempre vissuto da quando aveva 18 anni nella ricchezza ed in un mondo dove tutto è possibile, perché si ha il denaro per realizzarlo. Immaginate per un attimo se qualcuno avesse organizzato Germania - Italia nel 1943 nel campo di sterminio di Auschwitz, mente a qualche metro di distanza si consumava l’orrore delle camere a gas. Questa partita è la stessa cosa, ha la stessa funzione di stabilire una distanza tra la morte ed il lusso. In quelle poche parole si è infatti condensata tutta la distanza e si è rimarcata l’arroganza ripugnante fra chi vive nel lusso di un mestiere strapagato e chi è costretto a contare i morti.
Il calcio, per Gattuso, diventa così un alibi, un rifugio dorato dove la guerra non entra, dove il silenzio diventa un privilegio legittimo. Ma il silenzio, in questi casi, non è neutralità: è solo essere vigliacchi. Gattuso non è un politico, certo. Ma il suo mestiere è proprio quello di stare sotto i riflettori, di parlare a folle che lo ascoltano, di rappresentare qualcosa che va oltre il calcio. E non serve essere un politico, non serve essere un intellettuale, per alzare la voce contro un’ingiustizia: lo hanno fatto anche campioni che resteranno nella storia. Maradona non esitava a schierarsi con i popoli oppressi, a brandire la sua maglia come simbolo di riscatto, a definire le cose per quello che erano. Mathias Sindelar, negli anni bui del nazismo, preferì dire no al regime, pagando con la vita la sua coerenza. Eric Cantona non ha mai avuto paura di sfidare il potere, anche a costo di rimetterci parte della suacarriera. Sócrates, con la sua Democracia Corinthiana, trasformò il calcio in uno strumento di libertà e lotta politica in Brasile. Ma questi sono campioni, infatti Gattuso tra di loro non ci sta bene proprio.
Però lui è Ringhio, il calabrese che ce la ha fatta, dunque non si può dire niente. È facile ringhiare con la pancia piena ed il conto dorato. C’è invece chi deve ringhiare nelle serie minori, in campi difficili, c’è chi deve ringhiare per portare a casa un pezzo di pane e fare studiare i propri figli e c’è chi deve ringhiare per farsi valere nella vita, io stimo questi ragazzi calabresi che ringhiano nelle periferie. Chissà cosa avrebbe pensato di Gattuso Suleiman al-Obeid, il “Pelé palestinese”, che è stato ucciso l’6 agosto 2025 mentre faceva la cosa più umana che ci sia, aiutare gli ultimi nel genocidio di Gaza. Le forze israeliane lo hanno colpito con un colpo di mortaio, mentre attendeva cibo insieme ad altri civili. Non era solo un calciatore: era un punto di riferimento in tempi disumani. Le sue azioni, la forma con cui nascondeva la paura sotto un sorriso, il suo impegno continuo ad allenarsi, ad allenare, a far crescere i suoi ragazzi, meritavano dignità. Ma al posto di una voce che elevasse quella dignità, molti hanno preferito il silenzio comodo. Solo Mohamed Salah ha rotto il muro: «Potete dirci come è morto, dove e perché?» , ha chiesto pubblicamente alla Uefa, e ha acceso i riflettori su una morte che stava per essere archiviata con un frettoloso elogio, senza contesto, senza verità.