Il centro della politica italiana torna a muoversi. E lo fa con due scosse che, se confermate, potrebbero ridisegnare l’intera geografia del potere: Carlo Calenda apre con decisione a Forza Italia, mentre Matteo Renzi lavora per riappropriarsi dell’egemonia nel Partito Democratico. Un doppio spostamento, in direzioni opposte, destinato a pesare sugli equilibri futuri.

Carlo Calenda, ex ministro dello Sviluppo Economico nei governi Renzi e Gentiloni, ha lasciato il PD nel 2019 per fondare Azione, forza riformista e liberale nata per presidiare il centro europeo. Oggi, però, la traiettoria sembra cambiare: nelle ultime settimane Calenda ha intensificato i contatti con Forza Italia, ragionando su dossier condivisi - economia, giustizia, politica estera, ruolo dell’Italia in Europa - e partecipando ad appuntamenti organizzati dall’area azzurra. Non è ancora un ingresso organico nel centrodestra, ma la direzione appare chiara: Calenda mira a intercettare l’elettorato moderato deluso dal PD e dalle sinistre, provando a posizionarsi come perno di un nuovo polo liberale e pragmatico.

Dall’altra parte della scacchiera c’è Matteo Renzi, che dopo la parentesi con Italia Viva e la stagione del Terzo Polo torna a guardare al suo vecchio partito. Fin dal 2019 aveva parlato della volontà di “riprendersi il PD”. Oggi quella ambizione torna d’attualità: Renzi vuole riportare nel PD energie riformiste, sottrarre spazio alle correnti più tradizionali, ridurre la dipendenza dal Movimento 5 Stelle e rimettere il riformismo al centro della linea politica. Se Calenda punta a spostare i moderati verso il centrodestra, Renzi tenta di trasformare il PD nella casa dei riformisti, con un messaggio diretto a giovani amministratori locali, sindaci dinamici e nuovi quadri politici territoriali.

I due movimenti non sono paralleli: si intersecano in punti cruciali. Se Calenda costruisse un asse stabile con Forza Italia, nascerà un nuovo baricentro moderato nel centrodestra, capace di attrarre imprenditori, professionisti e ceti urbani. Se Renzi riconquistasse un ruolo centrale nel PD, il centrosinistra assumerebbe un profilo riformista e competitivo, erodendo consenso a M5S e sinistra radicale.

In questo scenario, gli amministratori locali - i “sindaci emergenti”- diventeranno l’ago della bilancia. Chi si schiererà con loro vincerà sul territorio e, verosimilmente, anche nel Paese. Per Calenda c’è il rischio di alienare l’elettorato più progressista che aveva creduto nel progetto originario di Azione. Per Renzi persiste lo scoglio strutturale del PD: correnti interne, lentezza decisionale, conflitti di linea. L’unica certezza è l’instabilità: il centro politico resta oggi il terreno più fluido, più contendibile e più determinante della politica italiana.

Se l’intuizione che oggi circola tra gli addetti ai lavori - Calenda verso Forza Italia, Renzi verso la guida del PD - dovesse realizzarsi, allora assisteremmo a una rivoluzione silenziosa ma profonda: il centro non scomparirebbe, si sdoppierebbe. E da questo sdoppiamento nascerebbe una nuova fase politica: piena di opportunità, piena di rischi, e decisiva per l’elettore e per i territori.