Nel cuore dell’estate, quando il tempo sembra estendersi, giunge il momento in cui il cielo, divenuto tela infuocata, si inchina al crepuscolo
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Nel cuore dell’estate, quando il tempo sembra estendersi, giunge il momento in cui il cielo, divenuto tela infuocata, si inchina al crepuscolo. È nell’agosto maturo che il tramonto si carica di forme poetiche, certamente complice il calore che grava sull’orizzonte, stemperando l’aria e tinteggiando i contorni delle cose di un’aura quasi metafisica. In questa cornice, l’occhio umano sente il manifestarsi di un viaggio interiore, che trascende la mera percezione sensoriale per farsi contemplazione dell’infinito.
I tramonti estivi sono attimi sacri in cui il mondo sembra sospendersi, offrendo a chi osserva, un frammento di verità ineffabile. Il cielo, acceso di porpora e oro, si fa specchio dell’anima, e invita al silenzio, alla quiete, alla meditazione, talvolta anche alla festa e all’entusiasmo. Ogni sera si rivela con la potenza di una sinfonia cosmica. Il cielo ci offre generosità, il sole, nei suoi lunghi viaggi di luce, abbraccia la terra, filtrando attraverso le nubi leggere e creando giochi di sfumature che sfidano l’immaginazione: l’ambra si fonde con il rosso, il rosa si dirada nel turchese, l’azzurro cede il passo al viola della notte in arrivo.
Giacomo Leopardi, nella sua incomparabile capacità di cogliere il senso dell’infinito nel finito, scrisse nel celebre Canto notturno di un pastore errante dell’Asia parole che si adagiano perfettamente sull’idea del tramonto estivo:
"E quando miro in cielo arder le stelle;
Dico fra me pensando:
A che tante facelle?"
Così, di fronte al cielo che si spegne, l’uomo riflette sul proprio posto nell’infinito. Il tramonto, in questo senso, diventa un invito alla consapevolezza, all’abbandono dell’effimero per abbracciare ciò che è autentico.
Nel mese d’agosto, quando le città rallentano il loro ritmo e le campagne si offrono placide, il tramonto si fa rito quotidiano, e chi vi partecipa riscopre l’arte perduta dell’osservazione. Sedersi, tacere, guardare: ci insegnano l’accettazione serena del fluire degli eventi, accogliendo la notte con la gratitudine di chi ha saputo godere il giorno. Il tramonto estivo ci chiama, con dolcezza, alla sosta, insegnando l’elogio della lentezza. Il tramonto come un momento sacro, in cui l’essere umano torna umano, spoglio di ogni maschera.
E allora, quale compito più alto possiamo darci in agosto? Comprendere che il vero lusso dell’estate è la presenza, la compagnia del cielo. Che la luce, dunque, possa educare alla bellezza. La luce d’agosto quella che cade obliqua sui campi mietuti, che accarezza i volti dorati dal sole, che si rifrange nei vetri delle case vuote, una luce che parla. Parla della fine che si fa inizio, della malinconia che è anche dolcezza, della fugacità che può divenire altro, se soltanto le concediamo la nostra attenzione. In essa, il tempo si scioglie. In essa, l’anima si ritrova. E allora, chiudiamo gli occhi quando il sole si spegne. E lasciamo che quella luce ci attraversi. Perché in essa si cela il mistero stesso della vita, desiderando così, che quel momento duri per sempre.