La felicità, oggi, è un possesso, un attraversamento, una voce debole che abita i margini, le discontinuità, gli sguardi sempre catturati da riflettori e dai clamori, senza nessuna profondità, senza la meraviglia del silenzio condiviso.

La nostra contemporaneità può sembrare sterile e vuota, ma in realtà, se ascoltata con onestà e attenzione, è affamata di bellezza. Questa fame si riversa nella capacità di ascolto e di presenza; senza urla, si lascia trovare da chi ha il coraggio di fermarsi.

È forse questa la lezione più urgente del nostro tempo? In un mondo che accelera, la felicità si manifesta in chi rallenta. In chi, sale in montagna per sentire il respiro del mondo e si accontenta di una parola giusta, trovata tra mille, come un dono imprevisto: un modo di accorgersi, di toccare il fondo luminoso delle cose semplici.

La felicità che ci raccontano i poeti è sottile, quasi timida, ma tenace. Alda Merini la trova nelle scintille dell’amore, anche quando brucia: “la felicità è una piccola cosa, una parola detta da un amico, uno sguardo che salva.” La sua poesia è vitalità, una danza instabile ma assoluta, dove la gioia e il dolore si trasformano a vicenda.

La felicità mescolata con i nostri giorni è desiderio, sete, senso di vivere. Nel nostro tempo, zeppo di immagini e povero di immaginazione, la poesia e la letteratura insegnano ancora a meravigliarsi e ci rammenta che la felicità è come una filastrocca leggera che scivola nella memoria e ci accompagna per tutta la vita.

E se Eugenio Montale, con la sua celebre "porta che si apre su un giardino", ci ha insegnato che la gioia può essere una fenditura improvvisa nel muro grigio del quotidiano, oggi possiamo ancora aprire quella porta. Basta restare vigili, come lettori e come esseri umani, pronti ad accogliere i momenti di grazia che la realtà ci regala.

C’è una forma di felicità che nasce dalla resa. È quella che ci racconta Tiziano Terzani, quando, dopo un lungo viaggio esteriore, scopre che “la felicità non è altrove, ma dentro le cose che già abbiamo”. Una sedia accanto alla finestra. Una voce amica. Un libro aperto. La parola che ci somiglia e ci consola.

È questo il compito della letteratura? Essere una casa di parole, dove il lettore può ritrovarsi, respirare, scoprire che la felicità è un sentiero condiviso.

In questo tempo che cambia e ci cambia, leggere poesia è un atto rivoluzionario. È scegliere di dare tempo alla bellezza, di credere che la felicità esiste, anche solo in un verso, in un’immagine, in un ricordo improvviso. È credere che le parole siano semi – e che da questi semi, nel silenzio, può ancora nascere un fiore.

La letteratura, oggi più che mai è fondazione, ci insegna a essere più profondi, e quindi, anche più felici.

Forse la felicità è questo: riconoscere la casa dentro di noi, ogni volta che una parola ci tocca il cuore, ogni volta che le sofferenze e il dolore piombano nella vita, riconoscere comunque la meraviglia di essere nati.

La felicità risplende lieve e silenziosa, nelle onde impercettibili del presente, nei gesti minuti che l’anima distingue come eterni.

È una tazza calda tra le mani, una parola attesa che arriva, la luce dorata dell’alba che nessuno ha chiesto eppure consola. Abitare la felicità, nell’attimo che passa, con la gratitudine di chi sa che ogni istante può essere un altare d’incanto.

La felicità è un’arte sottile dell’osservare.