Mentre nell’Italia degli anni ’70, nel cuore della stagione calda, si assisteva a quadretti familiari con valigie sul tetto, papà al volante e mamme in foulard pronte a partire per mete esotiche: il Sud Italia, Rimini, Portofino. Oggi, nel 2025, lo scenario è ben diverso.
Siamo testimoni e protagonisti di una mobilitazione generale, non verso il mare, ma verso bandi e scadenze. Una corsa collettiva verso una burocrazia impietosa, che non salva nessuno, se non le casse dello Stato.

Il settore pubblico, che dovrebbe garantire pari opportunità e inclusione, soprattutto per le donne spesso penalizzate da maternità e carichi familiari, finisce per generare nuove forme di esclusione.
Le scene delle donne in costume, rossetto e foulard, o con il grembiule da casa per cucinare prima della partenza, sono ormai sostituite da donne disoccupate, con mandrie risicate di figli scalmanati a casa, affaccendate dietro a uno schermo nel tentativo di non perdere occasioni. Saldi? No, bandi. Concorsi. Avvisi.

Un’estate di incassi garantiti. Grandi offerte convenienti, sì, ma per lo Stato: che svuota i portafogli e impoverisce famiglie.
Ma tanto c’è il turismo delle radici, a compensare la nostra distrazione e la mancanza di voglia (o possibilità) di gite fuori porta. I villaggi vacanza restano lì, bellissimi, snobbati dalle famiglie troppo impegnate a scegliere tra un bando e l’altro, pronte a scommettere sul più promettente.
Fantozzi ci farebbe un film. E sarebbe un successo. Siamo noi. Gli italiani tragicomici.

La lista della spesa porta il logo di PagoPA: 10 euro per partecipare a un concorso di settembre, con prova scritta e orale. 65 euro per tentare un dottorato. 2.000 euro per abilitarsi all’insegnamento. Qualche centinaio per una certificazione linguistica. È un’orchestra di titoli e promesse. Chi più ha, più spende. Ricchi premi attendono chi investe. E le vacanze? Come ogni anno, possono aspettare. Settembre è vicino e ci sono cose più importanti da affrontare.