Oggi pubblichiamo la terza e ultima parte della nostra trilogia del Potere. Qui e qui potete leggere le prime due puntate.

Oggi il Potere non ha più bisogno di tritolo. Non servono crateri sull’autostrada, non servono auto che saltano in aria davanti a un portone, non servono titoli di giornale con la parola “strage” in apertura. Il corpo con molte braccia ha imparato che, per controllare un Paese, basta spostare fondi, logorare istituzioni, piegare le parole fino a svuotarle. Il resto lo fa la nostra memoria corta: un giorno di indignazione e poi il silenzio. La differenza è che oggi tutto avviene alla luce del sole. E proprio per questo non fa paura. È la normalizzazione del caos: non più l’urgenza drammatica di un’esplosione, ma il rumore bianco di decisioni prese altrove, mentre noi discutiamo di sondaggi, di gossip, di vacanze.

Il laboratorio Calabria

In Calabria, un governatore si dimette in pieno agosto, lasciando la Regione in balia di un vuoto politico che costerà carissimo. La notizia resiste qualche giorno, poi i casi di botulino Diamante, il dolore e la commozione per la morte di Padre Fedele, e così questo scellerato evapora. Il silenzio riempie il vuoto. È la stessa logica di ieri: quando la missione è compiuta, si cambia scena senza spiegazioni.

Nel frattempo, miliardi del PNRR destinati al Sud per l’alta velocità prendono la strada del Nord. Nessun boato, nessuna sirena: solo un tratto di penna in un ufficio ministeriale. Le conseguenze sono concrete – sviluppo sottratto, opportunità cancellate – ma il meccanismo resta invisibile agli occhi della maggior parte dei cittadini.

E poi il Ponte sullo Stretto. Presentato come simbolo di un’Italia che “torna a pensare in grande”, è in realtà la metafora perfetta della strategia attuale: un’opera presentata più come uno sfoggio di potere che come l’opportunità di unire due sponde e creare nuove infrastrutture. Nel dibattito pubblico, ci si divide in tifoserie, chi è pro e chi è contro.. Divide et impera: oggi come ieri.

La riforma della magistratura

C’è poi la riforma della magistratura. Si dice che serva a “modernizzare”, ma nella pratica riduce spazi di autonomia e aumenta quelli di controllo politico. È la lezione del ’92 applicata con metodo: mai più procure troppo indipendenti, mai più giudici capaci di toccare il cuore del sistema.
Questa è la vera eredità di quella stagione: la consapevolezza che per cambiare la mappa del potere non serve colpire nel sangue. Basta impedire che chi indaga possa arrivare troppo in alto, troppo lontano, troppo vicino alle stanze dove si decide davvero. Il linguaggio che cambia, la logica che resta. Il linguaggio del Potere si è trasformato.

Ieri c’era la destabilizzazione eclatante, fatta di bombe e titoli di apertura. Oggi c’è la gestione silenziosa: spostamenti di bilancio, nomine strategiche, decreti approvati in notti d’estate. Ieri si sparava, oggi si firma. Eppure, se metti in fila le immagini, il copione non è cambiato. Allora il Potere usava il terrore per spianare la strada a nuovi equilibri; oggi usa il consenso apparente per mantenerli.

L’Italia a sovranità limitata

Forse è per questo che il Sud – e con esso gran parte del Paese – continua a sembrare un territorio amministrato a distanza. Le decisioni vengono prese altrove: in altre città, in altri interessi, a volte in altre lingue, e qui si vedono soltanto le briciole e cani rabbiosi e affamati che se le contendono.
Il Potere con la P maiuscola non è un’ombra che si dissolve: è una presenza che cambia forma. Un tempo si muoveva di notte, oggi può camminare in pieno giorno, tra un convegno e una conferenza stampa, sorridendo davanti alle telecamere. La vera strage non è quella che fa crollare un palazzo, ma quella che svuota lentamente un Paese delle sue possibilità. E quel sorriso di facciata con cui lo fa è il volto nuovo del Potere.

Il gancio che chiude e riapre

Forse un giorno ci accorgeremo che il rumore del passato e il silenzio del presente parlano la stessa lingua. Che Portella della Ginestra, Moro, Pasolini, Bologna, Ustica, Capaci, via D’Amelio, Firenze, Roma e Milano non sono episodi isolati, ma variazioni di una stessa melodia. E allora capiremo che il Potere non ha mai smesso di agire. Ha solo cambiato braccia e abito.