Oltre un centinaio i manifestanti che hanno protestato contro l’immobilismo del governo italiano. Sayed, egiziano, ricorda i muri al confine: «Ci sono popoli che stanno in un carcere a cielo aperto»
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Sayed, 28 anni, egiziano, operatore di accoglienza racconta che se pensa a Gaza «mi vengono le lacrime agli occhi». Lui e un buon centinaio di manifestanti, nell’isola pedonale di Corso Giovanni Nicotera, a poco più di duecento metri dal palco del comizio pro Occhiuto, hanno sventolato bandiere palestinesi e innalzato cori contro «la passerella dei complici del genocidio». Cordoni di polizia hanno impedito che qualche bandiera palestinese potesse spuntare davanti al palco nel quale hanno parlato i massimi rappresentanti del governo, dalla premier Giorgia Meloni al suo vice Antonio Tajani, al ministro per le Infrastrutture Matteo Salvini.

«Io sono egiziano – dice Sayed – viviamo al confine con Gaza quindi conosco la realtà che la gente sta passando lì e siamo venuti qua oggi per rompere il silenzio, in un paese democratico come l’Italia in cui non si poteva più parlare di quello che stava succedendo: un genocidio in diretta. Stiamo ritornando davvero al periodo dei fascisti». Dell’Egitto e della vicinanza con la Palestina Sayed ricorda «i muri messi lì da 19 anni e la gente che non può decidere di andar fuori, di fare un viaggio, di avere un semplice passaporto. Siamo nel 2025 e accadono ancora queste cose: ci sono popoli che stanno in un carcere a cielo aperto e questo fa veramente male».

Nella piazza pro-Palestina ci sono famiglie, ragazzi e anche pensionati. Alcuni appartengono alla vecchia guardia comunista che ricorda le barricate degli anni ’70. Come Luigi che ci racconta di essere presente alla manifestazione perché, dice «innanzitutto sono un essere umano e quello che sta succedendo oggi in Palestina è disumano. È un eccidio che non ha niente a che vedere con una guerra perché si tratta di un esercito che sta uccidendo donne e bambini indifesi». Degli esponenti politici che stanno dall’altra parte del corso gli interessa poco: «La manifestazione ha valore per quello che è: a favore della Palestina. Poi il fatto che oggi ci sia in concomitanza la manifestazione del centrodestra è un’occasione, visto che a livello governativo nessuno si sta muovendo, perché è stata la popolazione civile che si è mossa. Può essere una risposta a quello che non sta facendo il governo».

Maria Francesca Ruberto, ha 34 anni ed è una docente. «Io conosco tutti i compagni e le compagne del collettivo Addunati, ho sempre sostenuto le lotte – dice –, ne abbiamo fatte tantissime anche insieme. È un periodo in cui mi sono allontanata dai collettivi però cerco sempre di fare attivismo a modo mio. Mi sono laureata l’anno scorso con un tesi sperimentale sulla Palestina. Ho sempre fatto attivismo politico, di politica dal basso qui a Lamezia Terme. Dovevo esserci oggi, per forza». Maria Francesca indica «la barricata di celere che hanno messo e il fatto che ci abbiano chiusi fa vedere proprio il momento storico-politico in cui viviamo. Non abbiamo la libertà di appellarci all’articolo 21, quindi alla nostra libertà di dissentire. E questo è emblematico del momento che stiamo vivendo».

La manifestazione è stata radunata soprattutto dal collettivo Addunati, un nome emblematico che in dialetto è un invito ad avvicinarsi, a sbirciare, dare un’occhiata. Giuseppe Strangis, 38 anni, ci dice che «dall’altro lato c’è una piazza che pensa solo a meri interessi elettorali ma, a prescindere se ci fosse stato un governo di destra o di sinistra noi saremmo scesi in piazza. Anche perché non siamo soddisfatti delle risposte che hanno dato negli ultimi due anni le opposizioni che si sono svegliate solo negli ultimi mesi e per un anno mezzo ci hanno lasciato soli qui sul territorio ad organizzare, senza risorse, presidi, cineforum e raccolte fondi. Oggi abbiamo voluto dare una risposta di comunità».
In più, aggiunge Salvatore Malvaso, 42 anni, «vista la vicinanza alla Global Sumud Flotilla abbiamo ritenuto importante che un presidio ci fosse anche qui a Lamezia che sembra una città, purtroppo, tendenzialmente a destra ma in cui l’umanità non è scomparsa e il genocidio del popolo palestinese non può passare sotto tono».

La piazza della protesta chiaramente non ama il governo Meloni e le posizioni tiepide e tardive prese sull’eccidio del popolo palestinese. «Bruciano le case, massacrano i bambini. Giorgia Meloni, governo d’assassini», gridano i manifestanti. Il presidio pro-Palestina resiste fino alla fine del comizio pro-Occhiuto: alcuni danno fuoco all’effigie della premier e di altri membri della maggioranza di governo. «Bruciamo le loro facce perché non ci rappresentano», dice uno dei manifestanti al megafono. Inceneriti i volti di Meloni, del presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, degli esponenti del governo italiano. Volano in cenere davanti a fagotti imbrattati di rosso, simbolo dei 20mila bambini palestinesi uccisi.