A Roma massiccio il ricorso ai decreti legge anche per materie nè urgenti, né straordinarie. Anche in Consiglio regionale c’è stato un massiccio ricorso alle leggi omnibus e a provvedimenti arrivati direttamente in aula senza passare dalle commissioni. È csoì che si uccide la democrazia parlamentare
Tutti gli articoli di Politica
PHOTO
Un fantasma si aggira fra le stanze delle istituzioni italiane: è quello della democrazia parlamentare. Uno dei sistemi politici più significativi della società moderna, dove i cittadini, attraverso i rappresentanti democraticamente eletti, discutono delle leggi, arrivano ad una mediazione di interessi, approvano le leggi e ne controllano l’applicazione, oggi è messo in crisi da un protagonismo del Governo.
Lo abbiamo visto con l’approvazione della legge di bilancio che è uno dei provvedimenti cardine. Con essa, infatti, vengono stabilite le linee di azione e le traiettorie future dello Stato. Eppure su questa legge così importante non c’è stato spazio per la discussione. Dopo una gestazione molto complessa, in cui la Lega era arrivata a mettere in discussione il suo Ministro Giancarlo Giorgietti, il documento economico è arrivato in aula con il sigillo della fiducia. Prendere o lasciare, insomma senza nessuno spazio di discussione. Dopo l’approvazione al Senato, in cui la legge è arrivata a 22 miliardi, tocca ora alla Camera in seconda lettura, dove arriva “blindata”, ovvero dovrà approvarla senza modifiche per evitare una terza lettura che rischierebbe di portare all’esercizio provvisorio.
A questo proposito significativi del nostro ragionamento sono anche i tempi. La manovra viene sempre approvata nel periodo festivo che va da Natale a Capodanno e questo tecnicamente lede una prerogativa del Presidente della Repubblica che non può rinviare il testo alle Camere ma deve promulgarlo in tempi strettissimi perché ovviamente lo Stato non può entrare in esercizio provvisorio.
Si potrebbe dire che la legge di bilancio è un'eccezione, ma se guardiamo le statistiche non è proprio così. Secondo i dati di Openpolis Dal 2022 a oggi, Giorgia Meloni ha chiesto la fiducia al Parlamento 91 volte. È un record.
Draghi si era fermato a 55 voti di fiducia, il Conte II a 50, Renzi a 68. La presidente del Consiglio pone in media 2,85 questioni di fiducia al mese, più di Draghi (2,68), più di Conte (2,22). Dietro questi numeri c’è il ricorso massiccio ai Decreti legge che secondo la nostra Costituzione sono giustificati solo per “casi straordinari di necessità e urgenza”. Ma oggi, anche i provvedimenti più controversi — come il “decreto sicurezza” o le norme sull’Albania e sulla cittadinanza — passano per decreto e fiducia.Sotto questo aspetto si capisce perché il sogno proibito della Meloni sia quello della riforma del premierato mentre si sta ragionando su una riforma elettorale che prevede un premio di maggioranza che blinderebbe ancora di più il Governo. Del resto tutto questo ricorso alla fiducia non fa altro che tagliare fuori il Parlamento, impedire modifiche ai testi, sterilizzare il dibattito.
Anche in Calabria
La Meloni, però, non sembra esempio isolato. Questa tendenza si nota da tempo anche in Calabria dove il dibattito in consiglio regionale si sta pian piano riducendo a semplice atto notarile. Non serve qui ricordare l’intervento in aula del forzista Crinò che pretendeva un’opposizione silente in quanto sconfitta alle urne. Giova invece ricordare la fretta con cui si è arrivata alla modifica dello Statuto per l’allargamento della giunta regionale a nove elementi. Proposta di legge arrivata direttamente in aula quando ancora non si erano nemmeno costituite le commissioni, luogo deputato al dibattito preliminare e dove è previsto il parere tecnico degli uffici regionali. Non solo ma si è anche cassato il ricorso al referendum per rendere valida la modifica dello Statuto per accelerare sui tempi di formazione della nuova giunta.
Una tendenza, come abbiamo già avuto modo di scrivere, presente anche nella passata legislatura, sempre targata Occhiuto ricca di leggi omnibus, di proposte partite dalla giunta e arrivate direttamente in aula senza nessuna discussione nelle commissioni, di fiducia posta (o minacciata) dal presidente Occhiuto in almeno due occasioni.
Tutti ricordano poi come (non) si è sviluppato il dibattito sulle elezioni anticipate: con la maggioranza presa in contropiede e che avrebbe voluto un po’ di tempo in più per organizzarsi e il Presidente Occhiuto che invece ha tirato dritto.
È la democrazia, bellezza?

