In un mondo iperconnesso, dove i like valgono voti e i dati personali sono moneta di scambio, il clientelismo quel retaggio del passato rurale o delle vecchie tangenti in busta, si è evoluto in una forma subdola e pervasiva in “clientelismo digitale”. Immaginate un sistema in cui i politici, le piattaforme tech e i grandi poteri economici distribuiscono "favori" virtuali – bonus, sussidi mirati, contenuti personalizzati o persino accesso privilegiato a servizi pubblici – in cambio di fedeltà online, supporto elettorale o dati sensibili. Potrebbe sembrare fantascienza ma è la realtà dei giorni nostri, alimentata da algoritmi e sorveglianza di massa, che sta erodendo quelle che sono le basi della democrazia partecipativa.

Per esempio, in Brasile il clientelismo mediatico tradizionale, radicato in reti televisive come Globo, si è fuso con le piattaforme digitali. Qui, i partiti usano dati geolocalizzati e modelli predittivi per targeting mirato: promesse di aiuti pubblici o infrastrutture "su misura" per comunità specifiche, veicolate via social media, in cambio di like, condivisioni e voti. È un'evoluzione del vecchio "voto di scambio", ma potenziata dall'IA. Cioè, non più un broker locale che distribuisce sacchi di riso, ma algoritmi che monitorano il comportamento online per premiare i fedeli e punire i dissidenti. In America Latina, come in Messico o Colombia, questo meccanismo ha radici storiche nel clientelismo politico, ma la digitalizzazione lo ha reso scalabile: governi e partiti tracciano elettori poveri o vulnerabili tramite app e social, offrendo sussidi digitali (come bonus per app di welfare) per fidelizzarli, perpetuando disuguaglianze e corruzione.

E in Europa? Guardiamo l'Italia o la Grecia, dove sussidi pubblici decisi da politici locali costano il 42% in più per posto di lavoro creato, favorendo clientele affini invece di efficienza. Con la transizione digitale, come nel Pnrr, emergono casi di "clientelismo da fondi europei": aziende straniere, persino legate a contesti opachi, si contendono appalti per la digitalizzazione ecologica, mentre il clientelismo si nasconde dietro piattaforme di governance digitale che premiano fedeltà partitica anziché merito. In Kenya, il rifiuto del clientelismo etnico e la spinta verso un voto più consapevole online rappresentano una resistenza, ma anche un monito: senza vigilanza, il digitale amplifica l'elitismo etnico in forma algoritmica.

Questo non è solo un problema tecnico, ma è un attacco alla sovranità popolare. Il clientelismo digitale sfrutta il "capitalismo di sorveglianza", dove dati personali – raccolti da giganti tech – diventano leva per manipolare opinioni e comportamenti. In Nigeria, governatori nominano team mediatici gonfiati per controllare la narrativa online, un clientelismo "digitale" che ridicolizza la democrazia. In Australia, bonus e leggi su ID digitali rischiano di evolvere in "sacche di riso virtuali" per voti, con partiti che ignorano referendum per imporre agende clientelari. Il risultato? Una polarizzazione estrema, dove i deboli restano intrappolati in reti di dipendenza, e i potenti – politici, lobby, big tech – consolidano il potere.

Ma c'è speranza in questa distopia? Forse sì, se reagiamo con passione e azione. Dobbiamo esigere trasparenza: sistemi digitali open-source per i sussidi pubblici, regolamentazioni severe sul targeting politico (come l'UE sta provando con il Digital Services Act), e un'educazione digitale di massa per smascherare la manipolazione. In contesti come il Brasile o l'Europa meridionale, la transizione dal clientelismo tradizionale a quello data-driven può essere interrotta solo con una mobilitazione civica: votare per partiti programmatici, non patronali, e boicottare piattaforme che favoriscono il "voto comprato" online.

Il clientelismo digitale non è inevitabile. È una scelta corrotta che possiamo sradicare. Alziamo la voce, connettiamoci non per sottometterci, ma per liberarci. La democrazia del futuro non dovrà essere algoritmica, ma umana, appassionata, inclusiva e libera dal giogo dei "padroni digitali". È ora di spegnere i loro server di favoritismi e accendere la fiamma della vera partecipazione.

*documentarista