Alla fine la verità è venuta fuori. Quasi in maniera freudiana. Al termine della kermesse reggina di Forza Italia le motivazioni delle dimissioni di Roberto Occhiuto sono venute fuori dalle parole del presidente, ma soprattutto da quelle del segretario nazionale del partito, Antonio Tajani.

«La scelta di Occhiuto è quella di permettere alla Calabria di non vivere un blocco amministrativo causato da richieste giudiziarie che non hanno i tempi della politica, è lo stesso che accade a Milano, purtroppo a causa di richieste giudiziarie, troppi funzionari hanno paura di firmare, hanno paura di decidere e non si può paralizzare né la Calabria, né la capitale economica del nostro paese a causa di richieste giudiziarie. Per questo – ha concluso il leader azzurro – noi diciamo, con la riforma della giustizia, acceleriamo i tempi della giustizia perché ci sono anche delle conseguenze non soltanto per chi è al centro dell'inchiesta, ma delle conseguenze economiche che riguardano interi territori, penso la Calabria come penso Milano».

Il nodo allora è tutto lì, nell'inchiesta esplosa i primi di giugno e dai contorni ancora tutti da definire. Del resto la favola dei dirigenti dalla mano tremante convinceva fino alla curva, soprattutto se si considera che li ha nominati tutti il presidente e li ha anche fatti ruotare che nemmeno al tagada' in un luna park.
Anche Occhiuto ha reso involontaria confessione sul punto, nel suo famoso sfogo contro il centrosinistra a cui farebbe schifo che a scegliere fossero i calabresi.

«Perché vorrebbero - ha detto sempre dal palco di Reggio Calabria - che a decidere e a scrivere il futuro della Calabria e dei calabresi fossero inchieste giudiziarie».

Forse ha dimenticato che anche presidenti di quella parte politica sono stati fatti fuori per via giudiziaria. Ma Occhiuto non aveva detto nel suo video che non ce l'aveva con i magistrati, anzi che questi facevano bene a indagare in una terra complessa come la Calabria? Non aveva detto che il problema erano questi presunti “altri”, mai identificati, che volevano cuocerlo a fuoco lento? Evidentemente non me era convinto nemmeno lui. Ecco quindi la verità che torna a galla, ma che non lascia affatto tranquilli gli aspiranti candidati al consiglio regionale. Nonostante le dimissioni, come già detto, l'inchiesta resta e va avanti.

Qualcuno nel centrodestra inizia a chiedersi se vale la pena scendere in campo, investendo tempo e risorse, per una legislatura che potrebbe avere un arco temporale limitato (se l'inchiesta dovesse prendere una brutta piega).