Valle d’Aosta, Marche, poi Calabria, Toscana, e infine — forse nello stesso weekend — Puglia, Campania e Veneto. Sarà un autunno di urne sempre calde, con elezioni quasi ogni domenica.
La richiesta di un election day lanciata dalle opposizioni si è scontrata con la realtà: non è il governo a fissare la data del voto, ma i presidenti di Regione, e nel centrodestra nessuno sembra avere fretta di andare alle urne tutte insieme. Anzi. La strategia è chiara: in caso di risultati negativi, lo spezzatino elettorale ne diluisce l’impatto mediatico. Un conto è perdere cinque a due in una sola notte, un altro è distribuire eventuali scoppole su più settimane, con il tempo di riassestarsi tra una consultazione e l’altra.

Al centrosinistra, invece, il voto concentrato avrebbe offerto l’occasione di cavalcare un eventuale vento favorevole. Ma, almeno per ora, il vento lo decide il calendario. E il calendario lo tengono stretto i governatori uscenti, ciascuno con la propria agenda e i propri calcoli.

In Calabria, Roberto Occhiuto — dimessosi con mossa a sorpresa — ha puntato a urne rapide per cogliere gli avversari impreparati. In Toscana, Eugenio Giani ha quasi scherzato con il rivale Tomasi: «Si vota il 12, ti va bene?», ricevendo un diplomatico «basta saperlo».

Situazione opposta in Campania, Veneto e Puglia, dove andare lenti conviene. I nodi da sciogliere sono grossi e hanno nomi e cognomi: Vincenzo De Luca, Luca Zaia, Michele Emiliano.
In Veneto, l’uscita di scena del governatore leghista apre un derby interno alla coalizione. Fratelli d’Italia e Lega si contendono il candidato, con i fedelissimi di Zaia che ventilano l’ipotesi di una lista personale in nome del “doge”. In Puglia, il passaggio di consegne da Emiliano è tutt’altro che pacifico: da anni il successore designato è Antonio Decaro, ex sindaco di Bari e oggi europarlamentare forte di mezzo milione di preferenze. Ma Decaro vuole mani libere sulle liste e il veto a due nomi ingombranti: lo stesso Emiliano e Nichi Vendola. A Roma, nel Pd, minimizzano parlando di “capricci” destinati a rientrare; in Puglia c’è chi giura che Decaro non cederà, convinto che il partito non rischierà di fargli perdere la corsa per colpa di compromessi al ribasso.

La premier osserva e attende. Per lei, il rischio di una resa dei conti con Salvini in Veneto è bilanciato dall’idea che, con un voto scaglionato, anche una sconfitta pesante diventi una pratica gestibile. Meloni sa che in alcune regioni l’aria tira contro, ma sa anche che una narrazione può cambiare nel giro di una settimana. Così, mentre in Puglia il centrosinistra litiga, in Veneto il centrodestra finge di cercare un candidato condiviso. Si parla di Alberto Stefani per la Lega e di Raffaele Speranzon o Luca De Carlo per Fratelli d’Italia. La decisione, comunque, arriverà entro il raduno di Pontida del 21 settembre, quando il candidato dovrà essere già pronto per la passerella.

In Campania, la successione a De Luca apre un altro fronte caldo: Giuseppe Conte ha già incassato il via libera a Roberto Fico, ma bisogna capire se il Pd vorrà convergere o tentare altre strade. In Calabria, se Pasquale Tridico manterrà il “no” alla candidatura, potrebbe toccare a Giuseppe Falcomatà. E qui il centrosinistra sa che ogni mossa va calibrata per non bruciare chance in una regione difficile.

Il quadro, a oggi, racconta un centrodestra che gioca di sponda con i propri governatori uscenti, assecondandone i tempi e sfruttando le divisioni avversarie. E un centrosinistra che, invece, rischia di arrivare all’autunno con più trattative interne che comizi in piazza. In politica, il tempo è spesso la variabile decisiva: il centrodestra ha deciso di usarlo come arma, il centrosinistra non è ancora riuscito a trasformarlo in alleato.

E mentre i partiti si regolano il calendario come fosse un’agenda privata, gli elettori restano a guardare, rassegnati a un autunno che sarà una maratona, non uno sprint. Con un risultato già certo: per Giorgia Meloni, comunque vada, l’effetto “scoppola” sarà sempre più facile da nascondere.