Spirlì si difende: «Non mi dimetto. Se mi dicono “ricchiò, come stai?” è normale»

Il vicepresidente della Regione Calabria replica a chi chiede che lasci l’incarico dopo che ha rivendicato l’uso di termini come “ricchione” e “negro”:  «Cancelliamo anche gli spaghetti alla puttanesca?» (ASCOLTA L'AUDIO)

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di Redazione
3 ottobre 2020
11:17
Nino Spirlì
Nino Spirlì

«Devo chiedere scusa a qualcuno per le mie parole? Assolutamente no, dovrei riceverle io le scuse. Le ci sono parole che vanno tutte quante tutelate, usarle è a discrezione delle persone, ma non si può vietare agli italiani di usare il dizionario, vale per 'ricchione' e tutti gli altri termini».
Lo dice all'AdnKronos il vicepresidente leghista della Regione Calabria, Nino Spirlì, assessore alla Cultura della Giunta Santelli, riferendosi alle polemiche per aver rivendicato termini, come 'ricchione', 'negro' e 'zingaro', parlando anche di 'lobby frocia', durante un convegno della Lega a Catania, venerdì scorso.
«Difendo il diritto di dire tutte le parole anche se poi non le dico», dice, mentre entra nella zona del Tribunale a Catania, dove si trova per dare la sua solidarietà a Salvini, in vista del processo per il caso Gregoretti. E all'Anpi, alle associazioni pro Lgbt, alla sinistra che lo attacca, chiedendone la rimozione dagli incarichi istituzionali, non intende cedere, parlando anzi «ccuse di regime».

 


«Siamo di fronte a una trappola - replica -, si vuole cancellare parte della cultura italiana, le parole possono avere anche un significato pesante, ma è una cosa discrezionale, compete alla persona. Altrimenti si arriva a un dizionario che permette l'utilizzo di solo 200 parole, quelle che piacciono al regime».

«Se mi dicono 'ricchione' - prosegue - non lo sento dispregiativo, se me lo dicono in maniera tranquilla, tra amici capita spesso, per gioco, di dirselo, “ricchio, come stai?”, magari tra eterosessuali, il problema non è la parola, ma l'intenzione, l'eventuale violenza». «È come dire che gli spaghetti alla puttanesca non si possono fare, perché si offendono le prostitute», prova a spiegare Spirlì, con una metafora gastronomica.

 

«Non possiamo rinunciare a una parte della nostra identità, la lingua è il massimo strumento di identità di un popolo», ribadisce. E replica così a chi, come i Cinque Stelle in Calabria, chiede le sue dimissioni: «Loro dovrebbero trovare un bell'inginocchiatoio e chiedere scusa agli italiani per quello che hanno promesso e non hanno ottenuto, pensassero alle rogne che hanno in casa, non a me».

«Spirlì non è un povero demente che si sveglia al mattino e dice quattro cazzate, delle parole io - conclude - ne ho fatto una professione, sono stato pagato per questo».


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