È un disegno politico che ha radici profonde, alimentato da interessi economici e da un’ideologia privatista che si fa spazio con la complicità trasversale delle istituzioni. E a pagarne il prezzo, come sempre, sono i cittadini
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Medici in corsia
L’intervista al dottor Pino Frandina, pubblicata sabato su questa testata, ha fatto registrare un ampio consenso e ha prodotto tante reazioni e testimonianze.
I nostri lettori, da quanto emerge dai loro messaggi, hanno dimostrato di avere le idee molto chiare. Hanno capito benissimo che dietro la retorica del sostegno al sistema sanitario pubblico si cela una strategia pianificata: traghettare la sanità nelle mani dei privati. E a pagarne il prezzo, come sempre, sono i cittadini.
La fotografia della sanità in Italia non è frutto del caso o della sola inefficienza. È il risultato di una regia precisa, lucida e spietata, che ha tra i suoi principali registi quella politica che finge di voler salvare il Servizio sanitario nazionale mentre, nei fatti, lo sta smantellando pezzo dopo pezzo. Al Nord, in Lombardia, il processo è iniziati anni fa. Di fatto la sanità è già privatizzata: paga e avrai le migliori cure
Non è un cedimento accidentale: è un crollo programmato. Il pubblico viene sistematicamente impoverito, delegittimato, abbandonato. Non perché non funzioni, ma perché deve smettere di funzionare. È un disegno politico che ha radici profonde, alimentato da interessi economici e da un’ideologia privatista che si fa spazio con la complicità trasversale delle istituzioni. Una politica che guarda al Nord, che strizza l’occhio ai grandi gruppi privati, agli investitori, ai futuri finanziatori delle campagne elettorali.
Nel frattempo, il cittadino, l’utente, il malato – la persona – scompare. Diventa un numero, un costo da tagliare, una variabile trascurabile nel bilancio. L’umanità viene espulsa dal sistema, mentre al centro resta solo la logica del profitto. E il medico? Il medico è stato progressivamente svuotato del suo ruolo. Da protagonista della cura a capro espiatorio di un sistema che lo ha trasformato in un ingranaggio. Lo si accusa di voler solo guadagnare, mentre lo si costringe a rincorrere produttività, prestazioni, numeri. Rendere, rendere, rendere. E poi fruttare, fruttare, fruttare. Non per i pazienti, ma per gli investitori.
La narrazione pubblica ha demolito l’immagine del medico che cura con coscienza, che ha a cuore il benessere complessivo dell’uomo. Un’immagine che non va più riconquistata, perché per questo sistema malato il medico non è più una figura centrale: è uno strumento, al pari delle tecnologie e dei protocolli.
E allora cosa resta? Resta un cancro inoculato nel cuore del nostro Servizio sanitario nazionale. Una metastasi che si espande grazie al consenso passivo di chi dovrebbe proteggerlo. Fermarla non sarà semplice, ma ignorarla è criminale.
Serve una presa di coscienza collettiva. Serve una nuova idea di sanità: pubblica, universale, libera da condizionamenti e da quelle spaventose sacche di corruzione, burocrazie e inefficienze. E soprattutto, serve il coraggio di denunciare, chiaramente, che questa non è una crisi: è una scelta politica. E che il tempo per fermarla sta finendo.