Con l’apertura del conclave, il nome del cardinale Robert Francis Prevost, prefetto del Dicastero per i Vescovi, figura tra i più accreditati per succedere a Papa Francesco.

La sua lunga esperienza tra Perù e Curia romana, unita a una reputazione da riformatore, lo rende un candidato di peso. Ma il suo passato è segnato da accuse pesanti, che, pur senza sfociare in condanne, sollevano interrogativi sulla sua trasparenza in un momento storico in cui la Chiesa cerca un pontefice credibile, senza ombre. 

Tra Perù e Roma: un profilo internazionale 

Nato a Chicago nel 1955, di origini francesi, italiane e spagnole, Prevost cresce in una famiglia profondamente cattolica. Il padre è catechista, la madre cuoca. Dopo una laurea in matematica a Villanova e studi in diritto canonico all’Angelicum di Roma, viene ordinato sacerdote nel 1982, entrando nell’Ordine di Sant’Agostino. Tra il 1985 e il 1998 lavora come missionario in Perù, dove svolge ruoli pastorali e amministrativi, in una delle fasi più complesse della vita ecclesiale latinoamericana

Tornato negli Stati Uniti, diventa superiore provinciale e, successivamente, priore generale dell’Ordine agostiniano dal 2001 al 2013, con base a Roma. Nel 2014 Papa Francesco lo invia nuovamente in Perù, nominandolo amministratore apostolico di Chiclayo, dove l’anno dopo diventa vescovo. Si distingue per la gestione delle tensioni politiche locali e per la stabilizzazione delle istituzioni ecclesiali, ottenendo un ruolo di rilievo nella Conferenza Episcopale Peruviana. Nel 2023 viene richiamato a Roma alla guida del potente Dicastero per i Vescovi, riceve la porpora cardinalizia e nel 2025 diventa cardinale-vescovo di Albano. 

Le ombre di Chicago 

Ma il percorso di Prevost è segnato da episodi controversi. Negli anni ’90, a Chicago, due sacerdoti agostiniani sotto la sua giurisdizione –  Richard McGrath e James Ray – vengono coinvolti in casi di abusi su minori. McGrath resta in carica fino al 2018, quando l’ordine paga due milioni di dollari di risarcimento. Ray, condannato e sottoposto a restrizioni, viene autorizzato nel 2000, sotto la guida di Prevost, a vivere in un convento vicino a una scuola cattolica, scatenando forti critiche. Nonostante l’ordine sostenga che Ray fosse sorvegliato, molti accusano Prevost di non aver agito con sufficiente fermezza. Due avvocati presentano denunce contro di lui e contro il cardinale Blase Cupich tra il 2023 e il 2024, mettendo in discussione la trasparenza nella gestione di quei casi.

Il caso Chiclayo

Le accuse più gravi emergono però in Perù, durante il suo episcopato a Chiclayo. Tre sorelle – Ana Maria Quispe Diaz, Aura Teresa e Juana Mercedes – denunciano abusi subiti tra il 2006 e il 2010 da due sacerdoti diocesani. Prevost viene informato nel 2020, le incontra nel 2022, ma – secondo le testimonianze – non avvia un’indagine canonica adeguata. I sacerdoti restano in attività fino al 2023. 

Prevost avrebbe consigliato alle vittime di rivolgersi alle autorità civili, sostenendo che la Chiesa non potesse intervenire senza una denuncia esterna. Le indagini civili vengono archiviate per prescrizione, e nel 2023 il Dicastero per la Dottrina della Fede chiude il caso per mancanza di prove. Tuttavia, secondo le vittime, non fu condotta alcuna indagine preliminare durante il suo episcopato. 

Il quadro si complica quando nel 2023 uno dei sacerdoti avrebbe ammesso gli abusi e il loro avvocato canonico, monsignor Ricardo Coronado, subisce provvedimenti disciplinari percepiti come ritorsivi. Nel 2024, viene nominato come nuovo vescovo di Chiclayo monsignor Edinson Farfán, considerato vicino a Prevost, anch’egli accusato di insabbiamenti. 

Nel 2025 emerge inoltre la notizia di un presunto pagamento di 150.000 dollari alle vittime in cambio del silenzio.

Nuove rivelazioni

Altri episodi gettano ombre sul passato di Prevost. Un rapporto interno dell’Ordine agostiniano, reso noto nel 2024, lo accusa di aver ritardato l’invio di informazioni su un caso di abuso nel Midwest nel 2005, permettendo al sacerdote coinvolto di restare in attività per oltre un anno. Fonti vaticane, rimaste anonime, affermano inoltre che nel 2019, mentre era ancora a Chiclayo, Prevost sarebbe stato a conoscenza di un terzo caso di abuso, senza però avviare un’indagine canonica. Un atteggiamento ritenuto inadeguato secondo le norme di "Vos estis lux mundi", volute da Francesco per contrastare gli insabbiamenti. 

La difesa del cardinale

Prevost ha respinto tutte le accuse, rivendicando il proprio impegno nella lotta agli abusi. Sottolinea di aver creato il primo centro di ascolto per le vittime in Perù e di aver presieduto la Commissione Episcopale per la Protezione dei Minori, promotrice delle prime linee guida nazionali. In diverse interviste, ha parlato della necessità di “accompagnare le vittime” e ha sottolineato come le differenze culturali nella gestione dei casi richiedano un percorso graduale.
La diocesi di Chiclayo, nel 2024, ha dichiarato che un’indagine preliminare venne effettivamente aperta e trasmessa a Roma, ma queste affermazioni non hanno convinto tutti. 

Un candidato in bilico 

Non ci sono condanne nei confronti di Prevost. Tuttavia, la sua credibilità è messa a dura prova da documenti, testimonianze e ricostruzioni giornalistiche. Le accuse, pur non definitive, pesano su un conclave che si apre in un momento delicatissimo per la Chiesa. La figura di Prevost resta quella di un cardinale esperto e di respiro internazionale, in sintonia con molte delle riforme di Papa Francesco. Ma la Chiesa di oggi non può permettersi un papa con ombre su casi di abuso, soprattutto quando si parla di trasparenza e protezione dei minori come priorità assolute. Le numerose accuse di cattiva gestione di casi di abusi, provenienti da più continenti e confermate da testimonianze autorevoli, rischiano di precludere a Prevost la via verso il soglio pontificio. In un’epoca in cui la fiducia nella Chiesa è fragile, il conclave dovrà chiedersi se potrà davvero incarnare la trasparenza richiesta al prossimo papa.