Le donne detenute in Calabria a rischio di doppia marginalità: prima e adesso, dentro e fuori. Ciò in un contesto penitenziario complessivo già critico e funestato da morti, aggressioni e suicidi.

«Nella maggioranza dei casi - denuncia Antigone - le donne detenute in Calabria hanno uno scarso spessore criminale e una bassa pericolosità penitenziaria. Provengono spesso da contesti di povertà economica, disagio educativo, violenze subite e percorsi di vita spezzati. Il carcere, nelle condizioni che abbiamo toccato con mano, rischia di non rappresentare una possibilità di recupero ma di diventare un ulteriore fattore di esclusione».

In Calabria le donne sono detenute a Reggio Calabria e a Castrovillari, in istituti penitenziari misti in cui sono allestite delle sezioni femminili. A Reggio, la casa circondariale Giuseppe Panzera, dove nel plesso San Pietro sono presenti la sezione Nausicaa, la sottosezione Penelope per madri con i loro piccoli e la sezione Atena (attualmente chiusa). A Castrovillari la sezione femminile è all’interno della casa circondariale Rosetta Sisca.

Il quadro già evidenzia che in Calabria le donne sono detenute in istituti a prevalenza maschile, in un Paese in cui «con la chiusura del carcere di Pozzuoli nel giugno 2024 a causa del terremoto, oggi sono solo tre le carceri interamente femminili: Rebibbia a Roma (375 presenze per 272 posti, il carcere femminile più grande d’Europa), la Giudecca a Venezia (102 presenze per 112 posti) e la piccola Casa di Reclusione femminile di Trani (34 presenze per 32 posti).

Oltre l’80% delle donne detenute è ospitato in sezioni femminili all’interno di carceri a prevalenza maschile, che attualmente sono 46. Le donne detenute nelle carceri italiane al 31 marzo 2025 – denuncia nel suo rapporto Antigone - sono 2703, ossia il 4,3% della popolazione detenuta complessiva, che supera i 60 mila persone. Una percentuale rimasta sostanzialmente stabile nel corso dei decenni». È quanto di si legge nel rapporto "Senza Respiro" nel quale Antigone fotografa una minoranza numerica delle donne reclusa spesso in strutture marginali, sezioni adattate o in istituti promiscui dove la loro presenza risulta secondaria.

Sanità e trattamenti carenti

«Le donne detenute della nostra regione continuano a vivere in condizioni inaccettabili, tra sezioni marginali, assenza di screening strutturati e servizi sanitari continuativi e percorsi di reinserimento pressoché inesistenti. È arrivato il momento di accendere un faro su questa realtà ignorata.

La marginalità numerica si traduce in marginalità istituzionale: ginecologia una volta al mese, nessun servizio ostetrico continuativo, screening oncologici come Pap test e mammografie assenti. Una negazione del diritto alla salute, aggravata da strutture vetuste, sovraffollamento e personale insufficiente. Le detenute, spesso con fragilità pregresse, non possono subire una doppia pena: quella giudiziaria e quella dell’oblio istituzionale». È quanto denuncia Anna Comi, coordinatrice delle Pari Opportunità Uil Calabria che ha dedicato un focus al tema, invocando l'intervento risolutivo della Garante regionale per i diritti delle persone detenute, Giovanna Francesca Russo, per un deciso cambio di passo nelle politiche penitenziarie in Calabria.

Una situazione che pone interrogativi gravi in termini di diritto alla salute, equità e dignità, specie per una popolazione già fortemente vulnerabile».

Il coordinamento Pari Opportunità Uil Calabria ha stilato un documento che muove i passi anche dalle osservazioni del rapporto Antigone. L’associazione, dal 1991 impegnata a promuovere diritti e garanzie nel sistema penale e penitenziario, visitando entrambe le sezioni calabresi ha messo in luce due situazioni diversamente carenti e sovrapponibili solo sotto certi aspetti.

Il rapporto Antigone

Secondo quanto denunciato da Antigone «nella sezione femminile di Reggio Calabria mancano acqua calda, spazi adeguati, attività trattamentali, supporto medico 24 su 24 e servizi educativi efficaci. A Castrovillari, pur in condizioni migliori, si registrano sovraffollamento, carenze di mediatori culturali, psichiatri e ostetriche, e solo una minima parte delle donne ha accesso a lavoro o percorsi professionalizzanti».

La sezione Nausicaa del carcere Panzera di Reggio

Nel dettaglio ecco la fotografia delle due carceri calabresi scattata da Antigone.

«Reggio Calabria soffre particolarmente per l’obsolescenza strutturale e l’assenza di programmazione trattamentale, mentre Castrovillari, pur meglio organizzato, presenta carenze sistemiche sul piano sanitario e del personale specializzato.

La sezione femminile della Casa Circondariale di Reggio Calabria, è articolata in due sezioni, Atena (attualmente chiusa) e Nausicaa che ospitava al momento della visita 39 donne, di cui una parte in attesa di giudizio e una minoranza straniera. La sezione per le madri con figli (Penelope) è ben attrezzata, ma al momento della visita non vi erano detenute madri presenti e quindi neppure bambini. Il carcere Giuseppe Panzera di Reggio è molto datato, risalente agli anni ’30, e presenta gravi carenze strutturali, tra cui celle in cattive condizioni, spazi angusti, e talvolta mancanza del minimo di 3 mq calpestabili a persona. Inoltre, non sempre è garantita l’acqua calda.

Tra le principali criticità, spiccano l’assenza quasi totale di attività trattamentali e lavorative (lo spazio per le lavorazioni non è mai stato avviato), una grave carenza di personale, sia per quanto riguarda la Polizia Penitenziaria sia in termini di mediatori culturali e sanitari.

Risulta inoltre una biblioteca poco fruibile come spazio comune e una zona per l’aria ristretta e non attrezzata. Sul piano educativo, è attivo solo un corso di alfabetizzazione e il biennio delle scuole superiori, con poche iscritte. Le opportunità lavorative interne sono minime e non vi sono contratti con datori esterni. Le attività ricreative e culturali sono poche e sporadiche. Non vi è accesso al web né un’area verde per i colloqui estivi.

Risulta anche l’assenza di un medico 24h e cartella clinica non informatizzata, un’alta incidenza di uso di psicofarmaci (oltre il 50% delle detenute) con presenza di più casi di diagnosi psichiatrica».

Il reparto Argo chiuso

Sul punto è il caso di ricordare che l'articolazione di Tutela di salute mentale, ossia il reparto di osservazione psichiatrica, che aveva sede nella sezione Argo del carcere Panzera, è stata chiusa nel 2023. Non è stata ancora riaperta in altro istituto in Calabria dove, dunque, è rimasto solo il reparto a Catanzaro.

La sezione del carcere Sisca di Castrovillari

«La sezione femminile della Casa Circondariale di Castrovillari Rosetta Sisca, all’interno di un carcere prevalentemente maschile, è collocata in una palazzina autonoma su tre livelli e ospitava 30 donne a fronte di una capienza regolamentare di 17 posti. Si registra quindi una situazione di sovraffollamento. La struttura – denuncia ancora Antigone - sebbene in buone condizioni generali, presenta criticità importanti come l’assenza di docce nelle celle, la carenza di personale psichiatrico e assenza totale di mediatori culturali, la riduzione della presenza medica a orari parziali, con servizio ginecologico mensile ma assenza di ostetricia.

Nonostante alcune lacune, la struttura appare più organizzata rispetto a Reggio Calabria. Gli spazi comuni (come biblioteca, sartoria, aule scolastiche e sala socialità) sono ben arredati e curati. La presenza di una ludoteca e di una sezione nido ben attrezzata rappresenta un elemento positivo, sebbene al momento inutilizzato per mancanza di madri con prole. Sono attivi corsi scolastici di ogni ordine e grado, e un laboratorio di sartoria dove sono impiegate alcune detenute, anche se mancano percorsi professionalizzanti strutturati. Una sola donna è impiegata da un datore esterno al momento della visita. Le attività culturali e sportive, sebbene presenti, sono limitate dalla condivisione degli spazi con la sezione maschile.

A livello di salute mentale, si segnalano numerosi casi di autolesionismo e tentativi di suicidio nel passato».

La custodia attenuata

Il quadro già critico si aggrava richiamando l’approvazione del Decreto Sicurezza in forza del quale diventa facoltativo l'attuale obbligo di rinvio della pena per le donne in gravidanza e le mamme con figli sotto i tre anni, che andranno negli istituti a custodia attenuata per detenute madri (Icam). Con la chiusura dell’Icam di Avellino, unico al sud, adesso gli Icam sono solo tre e sono tutti al Nord.

«È una misura che rischia di spezzare famiglie e diritti. Allontanare le madri centinaia di chilometri dai propri figli e dalla rete sociale - conclude Anna Comi, Coordinatrice Pari Opportunità Uil Calabria - è una scelta punitiva, non educativa, che contrasta con l’equilibrio costituzionale e la stessa giurisprudenza consolidata. Essere donne non può voler dire essere invisibili, soprattutto nei luoghi dove la vulnerabilità è più forte. Alle donne detenute devono essere garantiti pienamente i diritti alla salute, alla prevenzione, all’educazione, alla maternità dignitosa e al reinserimento. Perché la vera giustizia si misura anche dalla qualità della detenzione».