Il treno simbolo dell’emigrazione portava migliaia di persone verso il Settentrione, tra speranze di riscatto e prove di resistenza umana. Qui dove l’Alta Velocità è una promessa mancata il divario infrastrutturale nega il diritto alla mobilità e a un futuro migliore
Tutti gli articoli di Attualità
PHOTO
Il 23 maggio 1953 venne istituita la Freccia del Sud, un treno Direttissimo che collegava Milano a Palermo e, successivamente, anche a Siracusa e Agrigento, percorrendo circa 1.546 km in meno di 24 ore. Nel pieno del boom economico, tra il 1958 e il 1963, oltre 1,3 milioni di meridionali lasciarono il Mezzogiorno per dirigersi verso il Nord e Torino: le nuove iscrizioni agli uffici anagrafici triplicarono, passando da 69.000 a 183.000.
In Calabria, la situazione sociale ed economica era particolarmente critica. Tra il 1951 e il 1961, circa 400.000 calabresi emigrarono, in molti casi verso il Nord e anche all’estero. La miseria colpiva oltre il 37% della popolazione, e la crisi del settore agricolo spinse molti a tentare la fortuna oltre le montagne e i mari.
Viaggi impossibili: sovraffollati, in continuo ritardo
Negli anni ‘60, la Freccia del Sud raggiungeva composizioni di fino a 19 carrozze, trainate da potenti locomotive E.646. Nei periodi di alta migrazione, Natale, Pasqua o Ferragosto, i treni diventavano veri e propri “carri dei ricordi”: sovraffollati, con viaggiatori ammassati lungo i corridoi, senza assistenza adeguata e in condizioni igieniche precarie. I ritardi cronici di ore erano all’ordine del giorno, trasformando viaggi già estenuanti, in vere prove di resistenza umana, spesso anche un’offesa alla dignità di lavoratori e giovani.
Lungo le linee calabresi, la fatica del viaggio si faceva ancora più drammatica. A Paola, una delle fermate della tratta tirrenica, era frequente dover attendere per lunghe ore i treni in ritardo. Per i calabresi quei treni rappresentavano quasi un incubo: non si sapeva quando si partiva, e nemmeno a che ora si arrivava. Per molti lavoratori provenienti da piccoli centri isolati, senza strade decenti e senza collegamenti, il viaggio si presentava come un pugno nello stomaco.
Non mancarono incidenti tragici. Il 19 aprile 1971, nei pressi della stazione di Pizzo Calabro, un deragliamento provocò 36 feriti e una vittima, suscitando panico e proteste lungo tutta la linea. Durante i moti di Reggio Calabria (1970), la ferrovia fu teatro di continui blocchi: i treni, con i loro fanali luminosi, furono scambiati per bersagli, mentre barricate e soldati in allerta trasformavano le stazioni in zone di pericolo. Spesso i convogli restavano bloccati in aperta campagna, anche di notte, senza interventi di soccorso per ore.
Quelle carrozze raccontavano storie straordinarie: famiglie intere in fuga, giovani disoccupati in cerca di lavoro in fabbriche del Nord o in miniere del Belgio, studenti universitari in viaggio verso il Nord, emigranti stagionali diretti in Svizzera, spesso in città dove era vietato l’ingresso in centro agli italiani. Tutti accomunati dalla speranza di un lavoro e da un enorme sacrificio.
Un articolo dell’epoca riportava:
“Di fronte al binario, con la valigia di cartone legata con lo spago e lo sguardo rivolto al Nord, un’intera generazione è salita sulla ‘Freccia del Sud’ portando con sé speranze, paure e il peso di una distanza non solo geografica.”
Con il passare del tempo, i servizi ferroviari migliorarono: i convogli si rinnovarono, i tempi di percorrenza diminuirono e il confort aumentò. Fino ad una vera e propria svolta rappresentata da Frecciarossa e Frecciargento che oggi collegano Reggio Calabria a Roma in meno di cinque ore, con arrivo a Paola in circa tre ore, un enorme progresso rispetto ai tempi della Freccia del Sud.
Tuttavia, alcune limitazioni persistono: l’alta velocità corre ancora su linee “convenzionali”, e i binari restano quelli di decenni fa. Il vero salto infrastrutturale che collega Nord e Sud resta più una promessa che realtà. Perfino con il PNRR, che avrebbe dovuto portare l’alta velocità vera al Sud, l’obiettivo sembra ancora lontano: mancano molti miliardi di euro per completare le opere, un prezzo che ancora una volta il Sud è costretto a pagare sulla strada della modernizzazione dei trasporti.