«Una riforma costituzionale che ci riporta al passato». Così la definisce il sostituto procuratore della Dda di Catanzaro Annamaria Frustaci che riveste anche il ruolo di segretario generale del gruppo Unità per la Costituzione dell’Associazione nazionale magistrati.
Come già ribadito nel corso di un intervento nella trasmissione di LaC “Buongiorno in Calabria”, il pm con un suo scritto pubblicato su Il Fatto Quotidiano nel giorno in cui si vota in Senato, pone l’accento su come questa riforma sia stata blindata e portata avanti senza una sola modifica «con un iter che si è concluso in tempi record e senza alcun confronto parlamentare».

Una riforma che «non si occupa delle risorse da destinare agli uffici giudiziari, non accelera la definizione dei processi, non affronta le questioni che riguardano l’efficacia e l’efficienza dell’azione giudiziaria. Gli unici aspetti su cui la riforma interviene aprono la strada per un ritorno al passato e pongono le basi per il condizionamento dei magistrati da parte del potere politico».

L’inutile riforma sulla separazione delle carriere

Annamaria Frustaci spiega come quella della separazione delle carriere sia una finta riforma perché in realtà la separazione delle carriere «esiste da circa vent’anni: è stata introdotta dalla legge Castelli nel 2006 e accentuata nel 2022 con la riforma Cartabia». A conti fatti è un finto problema perché «oggi cambiano funzione poche decine di colleghi all’anno su una pianta organica di oltre 9.500 magistrati, ma possono farlo una sola volta nel corso nei primi dieci anni di professione e per farlo devono addirittura cambiare regione».

Magistrati trasformati in burocrati

A conti fatti il pubblico ministero perderà la propria capacità di agire in maniera autonoma e indipendente «attraverso l’espulsione del pubblico ministero dalla giurisdizione: cartellino rosso per i magistrati che si occupano di indagini, che d’ora in avanti non faranno più parte dell’ordine giudiziario. Non saranno più terzi, imparziali ed equidistanti tra le garanzie degli indagati e la tutela delle persone offese: diventeranno dei burocrati, difensori dell’accusa e questo porrà le premesse per il controllo della magistratura inquirente da parte della maggioranza di governo, che indicherà le priorità investigative e sceglierà quali reati perseguire e cosa portare all’attenzione dei giudici».

Il meccanismo poco democratico del sorteggio

I componenti dell’organo di governo della magistratura, il Consiglio superiore della magistratura, verranno eletti col meccanismo del sorteggio. Gli scandali del caso Palamara, usati a pretesto di questa riforma, in realtà introducono un sistema antidemocratico che le istituzioni politiche non adotterebbero mai per se stesse, nonostante gli scandali che le hanno travolte negli anni. «Ma in democrazia – scrive Frustaci –, laddove i rappresentanti eletti commettano degli errori, si dà luogo alle dimissioni e alla non conferma, non si puniscono gli elettori e non si toglie loro il diritto di voto». Senza contare che ovunque, in ogni settore della vita pubblica e politica del nostro Paese i vari organi eleggono i propri rappresentanti e questa prerogativa ora viene tolta ai magistrati: «Ogni corpo elettorale ha diritto di eleggere i propri rappresentanti. Pensiamo agli studenti delle scuole superiori che, ancorché minorenni, eleggono i propri rappresentanti di classe. Agli avvocati che eleggono i componenti del Consigli dell’Ordine forensi, ai condomini che eleggono l’amministratore di condominio, alle varie associazioni senza scopo di lucro nate per la promozione dei territori, le cosiddette Pro Loco, che leggono i propri organi rappresentativi e così via. Quindi non si comprende perché il Consiglio superiore della magistratura non dovrebbe essere eletto dal relativo corpo elettorale, composto dai circa 9.500 magistrati italiani. Del resto, le elezioni sono un aspetto centrale della democrazia del nostro Paese. Mentre il sorteggio è un meccanismo che non viene utilizzato in nessun ordinamento democratico e che non ha alcun precedente in altri Paesi».

L’Alta corte disciplinare

Il nuovo articolo 105 della Costituzione introduce l’Alta Corte disciplinare, un organo che deciderà sugli illeciti disciplinari e le relative sanzioni. Questo organo così importante sarà composto da una rappresentanza di giudici e pm ma non si garantisce loro la maggioranza. «In altre parole, per come è formulata la norma – spiega il pm Frustaci –, nella composizione dei collegi che devono decidere i procedimenti disciplinari, potrebbero prevalere numericamente i componenti laici, non togati e quindi scelti dal potere politico. Ciò significa che le decisioni disciplinari, nei confronti dei magistrati impegnati in prima linea, in indagini e processi delicati, potranno essere assunte da collegi composti in prevalenza da componenti di designazione politica, con grave compromissione dell’immagine di indipendenza della stessa Corte disciplinare e rischio di sudditanza dei magistrati alla maggioranza di turno». Un organo, dunque, che rischia di apparire come uno spauracchio e un ostacolo, anche psicologico, per il lavoro indipendente di un magistrato.

Cui prodest?

Quale sarà il risultato finale di questa riforma? Secondo il pm della Dda di Catanzaro «avremo allora una giustizia più costosa per il cittadino, che non avrà più un punto di riferimento imparziale nel pubblico ministero, ma avrà davanti a sé un pubblico accusatore, avvocato delle forze dell’ordine. Una giustizia che farà aumentare la spesa pubblica perché la riforma triplicherà costi e burocrazia (con il doppio Csm in due organi e la nuova Corte disciplinare). Una giustizia condizionabile e intimidita, perché sottoposta al controllo del potere politico. Una riforma che di fatto svuota l’articolo 3 (tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, ndr) della Costituzione, compromettendo irrimediabilmente il principio di uguaglianza sostanziale dei cittadini di fronte alla legge»