La crisi lenta del Servizio Sanitario Nazionale: famiglie abbandonate e spesa privata ai massimi. Nel 2024, la spesa sanitaria privata delle famiglie italiane ha raggiunto un record di 41,3 miliardi di euro, mentre una persona su dieci ha rinunciato a curarsi. Il Rapporto GIMBE 2025 lancia un allarme severo: «Il Ssn è in uno stato di collasso pericoloso».

Un tempo simbolo di assistenza universale, il Servizio Sanitario Nazionale oggi è un gigante stanco, frutto di decenni di sottofinanziamento, carenza di personale e profonde disuguaglianze regionali. Senza interventi urgenti, la sua lenta agonia diventa irreversibile.

Le lunghe liste d’attesa spingono milioni di cittadini a rivolgersi al privato o all’intramoenia per evitare mesi o anni, ma non tutti possono permetterselo. Così il Paese si spacca tra chi può pagare e chi rinuncia alle cure. Mancano circa 30mila infermieri e 15mila medici, con personale sempre più anziano e una continua fuga verso l’estero o il settore privato.

L’Italia destina solo il 6,2% del Pil alla sanità pubblica, ben sotto la media europea del 7,5%. Dopo una pandemia che ha dimostrato quanto un sistema sanitario forte sia vitale, gli investimenti sono tornati a calare. Al Sud la situazione è drammatica: servizi tagliati, strutture chiuse e un crescente fenomeno di migrazione sanitaria verso il Nord.

Il Sud dimenticato

Nel Mezzogiorno, l’emergenza sanitaria è strutturale. Anni di piani di rientro, tagli e cattiva gestione hanno peggiorato l’assistenza: strutture vetuste, personale insufficiente e mal distribuito.

In Calabria, regione commissariata da anni, il Rapporto Gimbe evidenzia indicatori pessimi di accesso, efficienza e qualità. Oltre il 12% dei cittadini ha rinunciato a cure nel 2024, spesso per motivi economici o per l’assenza di disponibilità nei tempi necessari.

La migrazione sanitaria verso il Nord sottrae risorse preziose al Sud. Solo la Calabria ha un disavanzo annuo di circa 250 milioni di euro per rimborsare cure ricevute altrove. Medici e infermieri fuggono verso il Nord o il privato, chi resta affronta turni massacranti, stipendi bassi e strutture carenti. I sindacati parlano di una crisi non solo sanitaria ma anche di fiducia: la gente non crede più nel sistema pubblico.

Nel 2024 ogni famiglia ha speso in media quasi 1.600 euro per cure private, il dato più alto mai registrato. Visite, esami, farmaci non rimborsati e assicurazioni integrative rendono la salute un bene sempre più costoso e a “due velocità”. Un italiano su dieci rinuncia a curarsi per motivi economici, con numeri più gravi al Sud e tra gli anziani.

Il privato cresce rapidamente: poli sanitari, assicurazioni e centri diagnostici approfittano delle carenze pubbliche. Senza una riforma chiara, lo Stato favorisce una “privatizzazione silenziosa”: chi può paga, chi non può resta escluso.

Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, avverte: «Senza un’inversione di rotta immediata il Ssn è destinato al collasso strutturale». Servono rifinanziamenti urgenti, stabilizzazione del personale e una riorganizzazione profonda del sistema territoriale, non più correzioni superficiali o reclutamenti limitati.

Nonostante i fondi del Pnrr, progetti chiave come Case e Ospedali di Comunità, digitalizzazione e telemedicina arrancano a causa di divisioni regionali e mancanza di coordinamento nazionale.

L’Italia rischia di perdere un pilastro della sua democrazia sociale: un sistema sanitario pubblico e accessibile. Dietro ai numeri ci sono persone vere: anziani che aspettano mesi, famiglie che rinunciano a controlli, giovani medici che emigrano.

Difendere il Ssn è una battaglia di civiltà. Senza un forte impegno statale — più risorse, più personale, più equità territoriale — la sanità pubblica diventerà solo un’ombra, aumentando le disuguaglianze. Se la salute diventa privilegio e non diritto, a perdere sarà tutta la democrazia italiana.