Gratteri: «'Ndrangheta ricchissima. I capi hanno soldi come balle di fieno»

VIDEO | Dall'infinita ricchezza dei capi clan al rischio usura per la crisi economica provocata dal coronavirus. E poi le vicende dei boss con reddito di cittadinanza e quelli scarcerati per la pandemia. Questi gli argomenti trattati dal procuratore di Catanzaro nell'ambito della trasmissione Quante storie

di G. D.A.
22 maggio 2020
19:35
Il procuratore Gratteri ospite di Quante storie
Il procuratore Gratteri ospite di Quante storie

I tentacoli della mafia tentano di insinuarsi nella crisi economica e sociale provocata dal coronavirus. Da questi temi si è articolato il dibattito nell'ambito della puntata di "Quante storie", andata in onda su Rai 3. Ospiti di Giorgio Zanchini, il procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri e il giornalista Giovanni Tizian che hanno animato il talk, intitolato proprio I giorni degli sciacalli.

L’allarme sull’usura

Parlando dell'usura, Gratteri evidenzia: «Noi quest'allarme lo abbiamo lanciato da marzo. Ripetiamo come un disco rotto che le mafie sono presenti  dove c'è da gestire denaro e potere. E sono presenti dove c'è la possibilità di acquistare ristoranti, alberghi, pizzerie. Tutto ciò che è in vendita dopo e durante questa crisi. Soprattutto sono in grado, avendo grandi disponibilità di denaro, di comprarli grazie (alle risorse) provenienti dal traffico di cocaina».


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Gratteri: «L’infinita ricchezza dei capi mafia»

Sui fondi disponibili per la criminalità il procuratore però tiene a precisare: «La ricchezza vera è concentrata nelle mani del 2 o 3 per cento degli ‘ndranghetisti. I capi mafia hanno soldi come le balle del fieno, il resto dei mafiosi (tra cui quelli che condanniamo per associazione a delinquere di stampo mafioso) sono utili idioti, morti di fame e servitori dei capi locali. Parliamo di questo con cognizione di causa, ci sono intercettazioni ambientali che confermano come nelle disponibilità dei clan ci siano talmente tanti soldi che una parte sono addirittura sotterrati». Si parla di centinaia di migliaia di milioni di euro «tanto da utilizzare macchinette come quelle che si trovano in banca (per contarli)».

La crisi e gli “aiuti” dei clan

I clan, attendono il momento propizio per strappare locali, attività commerciali e anche piccole fabbriche dalle mani dei proprietari: «Il meccanismo è semplicissimo, collaudato anche in tempo di pace ma si acuisce quando c’è una crisi sanitaria che si trasforma in crisi economica e sociale –  sottolinea Giovanni Tizian-. Il settore turistico alberghiero per gli esperti perderà 16 miliardi. Cifra enorme. Ed è un settore in cui già le imprese dei clan sono presenti da tempo. Con delle crisi forti di liquidità i criminali si avvicineranno anche in modo affabile. Quell’aiuto, però, non è beneficenza».

Lo sblocco delle grandi opere

Altro tema affrontato è lo sblocco delle gradi opere, da sempre negli interessi della mafia: «Bisogna controllare a priori le ditte che possono partecipare ai bandi di gara – conferma Gratteri -. Coinvolgerei prima le prefetture, poiché le procure non hanno compiti di prevenzione possono intervenire dopo il reato».

Ma quali sono i servizi resi dei mafiosi? «Si muovono su due direttrici – evidenzia il procuratore di Catanzaro – La prima è quella dei piccoli prestiti, danno 200 euro per la spesa nei territori dove si presentano come benefattori, e sostengono chi lavora in nero». In questo modo conquistano un consenso sempre maggiore: «Perché sono arrivati prima dello Stato. Quando sarà tempo di votare, questi poveracci ricorderanno chi in un momento di difficoltà gli ha teso la mano».

Gli usurati e la pressione sulle vittime per avere i fondi del Governo

Il secondo modo d’intervento delle mafie è prestare soldi: «Ci risulta che gli usurai mafiosi stanno facendo pressione sugli usurati a chiedere il prestito di 25 mila euro per pagare il prestito usuraio già contratto».

Sulla giustizia sociale, Tizian sottolinea la questione relativa alla “libertà dal bisogno”: «Quando non ci sono queste condizioni, le fasce più deboli sono ricattate, ostaggio del potere criminale».

 

Riprese anche le parole della governatrice Jole Santelli che intervenendo in una trasmissione tv aveva ribadito la necessità per i calabresi di ripartire gradualmente con le attività: «o ci siamo noi altrimenti questo territorio diventerà preda di chi queste risposte le dà molto velocemente, la criminalità organizzata».

La fiducia dei calabresi nelle istituzioni

In questi anni, qualcosa è cambiato?: «In Calabria – osserva Gratteri - non ci sono servizi, responsabilità di decenni, di tutti. Però posso dire una cosa, secondo l’Istat nel 2017 i calabresi sono quelli che hanno più fiducia in giustizia in Italia. Non ci potevo credere. Vuol dire che in questi anni abbiamo costruito e investito bene e se continuiamo, siamo sulla strada giusta, non vorrei che adesso si rompa l’incantesimo tra noi e la collettività che di nuovo si allontana dalla giustizia».

I boss con reddito di cittadinanza

Sulla notizia dei boss e gregari con reddito di cittadinanza: «Non mi scandalizza perché accade da sempre – spiega ancora il pm antimafia - Gente milionaria, evasore totale, risulta essere nullatenente e per questo riesce ad avere case popolari o il reddito di cittadinanza. Latitanti con la pensione e poi persone in Germania che risultavano lavoratori nella forestale in Sila o in Aspromonte. Si trova di tutto e di più».

Lineare, l’analisi sull’evoluzione della ‘ndrangheta e le mafie in generale che cambiano con la società: «Cambiano continuamente, non sono una struttura statica. I mafiosi sono tra di noi, noi ci parliamo e abbiamo rapporti con le mafie e proprio attraverso i nostri rapporti innocenti concorriamo alla loro sopravvivenza». Parole che trovano riscontro anche nel discorso sui colletti bianchi portato avanti dal giornalista Tizian: «C’è una mafia che non si fa percepire che non crea allarme sociale e per questo ritenuta in tutta Europa, meno pericolosa».

I boss scarcerati

Tra le ultime battute anche il caso, che ha creato ampio clamore e dibattito, sui boss scarcerati: «Bisogna capire che un capomafia può comandare anche con il movimento delle ciglia e su di una sedia a rotelle.

Se dopo 20 anni al 41 bis se non si è pentito, il suo silenzio merita rispetto nella logica mafiosa e i suoi desideri vanno esauditi. Ecco perché è pericoloso. L’ergastolano fa una scelta: è in carcere perché non intende collaborare con la giustizia e spiegare quello che ha commesso con i suoi sodali. Eppure un’alternativa l’avrebbe così come ha fatto Giovanni Brusca (condannato per oltre un centinaio di omicidi tra cui quello del piccolo Giuseppe Di Matteo e della strage di Capaci)».

 

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Giornalista
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