L’ex capo ultrà e suo suocero, considerato dai pm di Milano legato a contesti di ’ndrangheta del Vibonese, avrebbero confermato la versione del pentito Andrea Beretta. I legami con Soriano che ruotano attorno al cold case irrisolto dal 2022
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Due confessioni: quella del calabrese che guidava la moto e quella dell’organizzatore del delitto. La tesi investigativa sull’omicidio di Vittorio Boiocchi, cold case irrisolto dal 2022, ha ora non solo la chiave interpretativa fornita dal suo ex delfino e capo ultrà Andrea Beretta, oggi pentito, ma anche il conforto di due confessioni. Pietro Simoncini e Marco Ferdico hanno parlato con i pm di Milano, il muro di silenzio si è sgretolato.
Simoncini confessa di aver avuto un ruolo del delitto Boiocchi
Pietro Andrea Simoncini, uno dei due presunti esecutori materiali dell'omicidio dello storico capo ultrà interista Vittorio Boiocchi, ammazzato a colpi di pistola il 29 ottobre 2022 sotto casa a Milano, ha rotto il silenzio e ieri, interrogato dal pm Paolo Storari e difeso dall'avvocato Mirko Perlino, ha confessato, confermando, in sostanza, la ricostruzione dell'ormai collaboratore di giustizia ed ex leader della curva Nord Andrea Beretta, il quale ha ammesso di essere stato il mandante dell'uccisione per l'affare del merchandising e altri business. Quella di Simoncini, nato a Vibo Valentia nel luglio 1983, è la prima confessione che arriva dopo gli arresti dell'11 aprile scorso, nelle indagini della Squadra mobile della Polizia e della Dda milanese, che hanno approfondito quei verbali con le confessioni di Beretta per risolvere il cold case in uno dei filoni della maxi inchiesta sulle curve di San Siro.
Simoncini - suocero di Marco Ferdico, presunto organizzatore dell’omicidio - non ha precedenti per associazione mafiosa ma è considerato dagli inquirenti vicino ad alcune famiglie di 'ndrangheta di Soriano Calabro, ha confermato, nel verbale davanti al pm, che era lui alla guida dello scooter e che a sparare sarebbe stato Daniel D'Alessandro, detto “Bellebuono”, bloccato in Bulgaria dagli investigatori e poi estradato in Italia.
Anche D'Alessandro, interrogato il 12 maggio dalla gip Daniela Cardamone e difeso dal legale Daniele Barelli, aveva scelto di non rispondere. Oltre a D'Alessandro e Simoncini, davanti alla giudice si erano avvalsi della facoltà di non rispondere tutti gli altri arrestati: Marco Ferdico, che era nel direttivo della Nord, e il padre Gianfranco - a cui Beretta presunto mandante, come messo a verbale, avrebbe dato 50mila euro per l'omicidio - e anche Cristian Ferrario, che si intestò lo scooter usato dagli esecutori.
Ora, dopo la confessione di Simoncini che cambia lo scenario delle difese, a stretto giro potrebbero arrivare anche quelle degli altri.
Delitto Boiocchi, le parole di Beretta su Simoncini
Riguardo a Simoncini, Beretta in un interrogatorio ha spiegato di averlo visto soltanto una volta insieme a Marco e Gianfranco Ferdico nei pressi dei box sotto la loro abitazione a Carugate, «ed avevano parlato della pianificazione dell’omicidio».
Gli investigatori avrebbero monitorato le utenze telefoniche del calabrese per evidenziare «il suo spostamento dalla Calabria in Lombardia nel luglio 2022, ovvero quando avrebbe preso corpo il progetto omicidiario nei confronti di Boiocchi, nonché la presenza sul territorio lombardo nel periodo in cui si colloca l’omicidio e il successivo ritorno in Calabria dopo l’omicidio». Gli investigatori hanno, in effetti, monitorato gli spostamenti di tutti gli indagati per il delitto: sia Simoncini che D’Alessandro avrebbero lasciato Milano dopo i fatti per trasferirsi in un’area compresa tra Soriano Calabro e Gerocarne.
La confessione di Marco Ferdico
Anche Marco Ferdico, uno degli ex capi del direttivo della Curva Nord interista, già in carcere da fine settembre nella maxi inchiesta milanese sulle curve di San Siro, ha confessato, da quanto si è appreso, il suo ruolo e le sue responsabilità nell'omicidio dello storico capo ultrà interista Vittorio Boiocchi, ammazzato a colpi di pistola il 29 ottobre del 2022 sotto casa a Milano. Ammissioni, quelle di Ferdico, che, da quanto si è saputo, sono arrivate nei giorni scorsi, sempre davanti al pm della Dda milanese Paolo Storari nelle indagini della Squadra mobile della Polizia, e prima della confessione di ieri di Pietro Andrea Simoncini, uno dei due presunti esecutori materiali del delitto di quasi tre anni fa. Ferdico, che ha un passato da calciatore nella squadra di Soriano Calabro, dove ha stretto contatti con persone vicine alle cosche, era nel direttivo della Nord assieme ad Andrea Beretta, ora collaboratore di giustizia, e ad Antonio Bellocco, rampollo della famiglia di 'ndrangheta, ucciso il 4 settembre scorso da Beretta.
Beretta: «La famiglia Bellocco non c’entra con il delitto Boiocchi»
«Per quanto riguarda l'omicidio Boiocchi, non c'entra niente Antonio Bellocco e la famiglia Bellocco, siamo stati noi a organizzare tutto. Praticamente quando è uscito Vittorio dalla carcerazione ...». Era iniziata così, in uno dei verbali dello scorso novembre, la ricostruzione di Beretta dell'omicidio Boiocchi, che era rimasto irrisolto. Un omicidio con "modalità mafiose", tanto che è stata contestata l'aggravante, e inserito nel contesto di una "guerra" sulla gestione degli affari legati al mondo delle curve.
A Beretta, successore di Boiocchi, pesava il ruolo che quest'ultimo voleva mantenere, una volta tornato libero dopo una lunga carcerazione. Beretta ha confessato di essere stato «il mandante», mentre l'esecuzione «sarebbe stata demandata» da lui, al prezzo di 50mila euro, a Marco Ferdico e al padre Gianfranco. Cinquantamila euro «per eliminare quello che era stato fino a quel momento il leader della Nord, per prendere il suo posto e dividere i profitti».
Sarebbe stato un altro ultrà interista Mauro Nepi (indagato ma non arrestato), anche lui già finito in carcere nel maxi blitz sulle curve, a suggerire a Beretta di rivolgersi ai Ferdico. E questi ultimi per il "progetto" si sarebbero rivolti, come veri esecutori materiali, a D'Alessandro (riconosciuto poi anche da un tatuaggio sotto l'occhio a forma di lacrima, "simbolo" dell'omicidio commesso) e Simoncini, salito a Milano appositamente.
Cristian Ferrario, altro ultrà interista, invece, si sarebbe intestato la moto usata per l'agguato. Dopo le due confessioni degli ultimi giorni davanti ai pm, la strada sembra ormai spianata anche per quelle degli altri tre arrestati. Una mossa con cui le difese cercano anche di evitare condanne all'ergastolo in Corte d'Assise.