Gli agguati decisi dai Bonavota contro i Cracolici, mentre il solo Andrea Mantella risponde del delitto Gangitano. Il pm conclude con un ergastolo e altre quattro dure condanne
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Si avvia alla conclusione il processo in Corte d’Assise d’Appello (presidente Piero Santese, giudice a latere Elvezia Cordasco) relativo al troncone dell’operazione Rinascita Scott che mira a far luce su alcuni fatti di sangue ed un sequestro di persona. Dopo la richiesta nella precedente udienza della conferma della pena dell’ergastolo nei confronti del boss di Zungri, Giuseppe Accorinti, e del boss di San Gregorio d’Ippona, Saverio Razionale (“lupara bianca” di Roberto Soriano di Filandari e omicidio di Antonio Lo Giudice di Piscopio avvenuti nell’agosto del 1996), la pubblica accusa (pm Annamaria Frustaci) ha ora chiesto alla Corte la conferma di altre condanne emesse in primo grado.
In particolare la condanna al carcere a vita è stata invocata nei confronti di Domenico Bonavota, di 44 anni, mentre la condanna a 30 anni di reclusione è stata invocata per Antonio Ierullo, di 54 anni, di Vallelonga che avrebbe fornito appoggio logistico durante le fasi propedeutiche ad un duplice omicidio e sarebbe stato quindi l’autore materiale della sparatoria che ha cagionato il 9 febbraio 2002 la morte di Alfredo Cracolici e Giovanni Furlano contro i quali sono state esplose raffiche di fucile mitragliatore kalashnikov e colpi di fucile calibro 12, tanto da lasciare sul posto dell’agguato – in contrada Muraglie di Vallelonga – i bossoli di oltre venti colpi. Domenico Bonavota viene ritenuto il mandante dei due delitti. A recarsi insieme a Ierullo a fare un sopralluogo a Vallelonga nel 2002 ci sarebbe stato anche un soggetto di Sant’Onofrio rimasto al momento ignoto. Questa, almeno, la tesi dell’accusa che ha retto in primo grado basandosi sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Andrea Mantella di Vibo e Francesco Costantino di Maierato, ma anche sulle dichiarazioni rese a suo tempo da Bruno Di Leo di Sant’Onofrio alle quali si sono aggiunte quelle del nuovo collaboratore di giustizia Francesco Fortuna di Sant’Onofrio (elemento di spicco del clan Bonavota). Stando alle dichiarazioni di Fortuna, Alfredo Cracolici – indicato quale capo del clan di Filogaso – avrebbe pagato con la vita il furto di un carro funebre, di una motozappa e di alcuni capi di bestiame ai danni di uno zio dei Bonavota.
Il sequestro di persona
La vicenda parte dalla contestazione di estorsione aggravata dalle modalità mafiose mossa nei confronti di Antonio Vacatello, 59 anni, ritenuto dagli inquirenti il capo ‘ndrina di Vibo Marina strettamente collegato con il boss di Zungri Giuseppe Accorinti. Secondo l’accusa, Antonio Vacatello avrebbe cercato di ottenere con modalità delittuose la restituzione o il pagamento di somme di denaro – circa seimila euro – da parte di Rocco Ursino, vibonese residente a Imbersago (nei cui confronti la Corte d’Assise in primo grado ha deciso che si proceda per il reato di falsa testimonianza). La condotta copre un arco temporale che va dal 14 settembre 2016 al 12 ottobre 2016 e porta quale luogo di commissione Seregno (provincia di Monza) e Vibo Marina. Per ottenere la restituzione della somma di denaro sarebbe stato compiuto un vero e proprio sequestro di persona. Tale reato viene contestato, in concorso fra loro, ad Antonio Vacatello (condannato in primo grado a 30 anni e per il quale è stata chiesta la conferma in appello), Pantaleo Maurizio Garisto, 41 anni, di Zungri (condannato a 20 anni e e per il quale è stata chiesta la conferma in appello), Luciano Macrì, 54 anni, di Vibo Marina (già giudicato con rito abbreviato e condannato a 20 anni in appello anche per altri reati), Valerio Navarra, 30 anni, di Pernocari (condannato a 20 anni in primo grado e per il quale è stata chiesta la conferma in appello), Saverio Sacchinelli, 41 anni, di Pizzoni (quest’ultimo già giudicato con rito abbreviato e condannato in appello a 13 anni e 4 mesi).
Vacatello sarebbe stato il mandante e il coordinatore del sequestro di persona. Tutti gli imputati si sarebbero recati a Cernusco sul Naviglio per effettuare materialmente il sequestro di persona. Rocco Ursino sarebbe stato quindi portato in una casa di Seregno, in provincia di Monza, e qui immobilizzato e pestato. Poi il trasferimento con la forza in Calabria per rimanere nell’abitazione dei propri genitori impedendogli ogni libertà di movimento se non avesse pagato la somma asseritamente dovuta. Luciano Macrì si sarebbe dato da fare, secondo l’accusa, per contattare a Vibo la madre di Rocco Ursino informandola del debito del figlio al fine di intimorire la donna e costringerla a pagare.
La lupara bianca di Filippo Gangitano
Sul banco degli imputati in appello è rimasto solo Andrea Mantella, collaboratore di giustizia, condannato a 14 anni in primo grado e per il quale il pm Annamaria Frustaci ha chiesto la conferma della condanna. Per il delitto Gangitano sono stati assolti in primo grado – così come richiesto dalla stessa Dda – Paolino Lo Bianco, 61 anni, di Vibo Valentia e Filippo Catania, 73 anni, di Vibo Valentia. Assolto anche Vincenzo Barba, 72 anni, di Vibo Valentia, per il quale la Dda aveva chiesto la condanna all’ergastolo. Tale ultima assoluzione non è stata appellate divenendo così definitiva. Filippo Gangitano è scomparso nel gennaio 2002. Secondo il racconto di Andrea Mantella, Gangitano – alias “U Picciottu” – sarebbe stato eliminato per volontà dei vertici del clan Lo Bianco-Barba in quanto ritenuto omosessuale. Di vero c’era che Filippo Gangitano, allora trentacinquenne, aveva un amico più giovane dal quale non si separava quasi mai. E quel legame finì con l’alimentare le voci che per il clan Lo Bianco-Barba si tradussero in una condanna a morte.
Andrea Mantella ha sottolineato agli inquirenti di aver provato a salvare la vita del cugino, ma i suoi sforzi si rivelarono inutili e così egli stesso si fece carico di attirare Gangitano in una trappola, coinvolgendo con l’inganno pure i suoi fratelli, ignari del piano, per consegnarlo al fucile di colui il quale l’avrebbe assassinato: Francesco Scrugli, a sua volta ucciso, dieci anni dopo, nella guerra di mafia tra i Patania di Stefanaconi ed il clan dei Piscopisani.
Terminato l’intervento della pubblica accusa, si sono registrati gli interventi dei difensori degli imputati: l’avvocato Sergio Rotundo per Ierullo, e gli avvocati Giuseppe Monteleone, Nico D’Ascola e Gianni Puteri per Razionale. Il processo riprenderà con gli interventi di altri difensori il 5 ottobre.