In mezzo alla faida

Omicidio dell’avvocato Pagliuso, il via libera all’agguato «direttamente dalla famiglia Iannazzo»: le motivazioni della sentenza

Ricostruzione a tratti inedita quella offerta dalla Corte d'Assise d'Appello di Catanzaro. Il legale sarebbe stato fatto fuori «perché aveva salvato dall'ergastolo Mezzatesta» ritenuto responsabile dell'uccisione di due protetti del clan

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di Luana  Costa
11 dicembre 2023
17:15
L’avvocato Francesco Pagliuso
L’avvocato Francesco Pagliuso

«Un omicidio così eclatante non poteva scaturire da una decisione isolata della famiglia Scalise ma necessitava di un placet, di un assenso». È una ricostruzione alternativa e a tratti inedita quella offerta dalla Corte d'Assise d'Appello di Catanzaro che nelle motivazioni della sentenza - emessa nel giugno scorso - per l'omicidio del penalista lametino Francesco Pagliuso introduce elementi di novità «trascurati dal primo giudice».

Il placet della cosca Iannazzo

Secondo la Corte, il via libera all'agguato, organizzato e voluto da Luciano Scalise, sarebbe arrivato «direttamente dalla famiglia Iannazzo, sotto la cui protezione si trovavano sia Giovanni Vescio che Francesco Iannazzo, i due uccisi da Domenico Mezzatesta, nonostante la loro intraneità al gruppo Scalise di cui verosimilmente costituivano il trade union». Non dal padre Pino Scalise non a caso assolto in secondo grado dall'accusa di omicidio.


La sentenza riformata

Nella sentenza di secondo grado, infatti, il padre Pino Scalise è stato condannato a 23 anni di reclusione per associazione mafiosa mentre il figlio Luciano all'ergastolo poiché ritenuto anche «mandante ed organizzatore» dell'agguato mortale avvenuto a Lamezia Terme nell'agosto del 2016.

La faida Scalise-Mezzatesta

Nella ricostruzione degli equilibri criminali, la Corte conferma infatti come il delitto del penalista lametino «si inquadri nella faida tra la cosca Scalise e la famiglia Mezzatesta» e l'avvocato era «riuscito ad ottenere un importante risultato difensivo» nell'ambito del processo per il duplice omicidio di Giovanni Vescio e Francesco Iannazzo «evitando l'ergastolo ai suoi assistiti»: Giovanni e Domenico Mezzatesta.

La simbologia 'ndranghetistica

A conforto di questa tesi, nelle oltre duecento pagine di motivazioni, si cita «una peculiare simbologia che ha connotato le date di alcuni omicidi, in ossequio ad una antica tradizione 'ndranghetistica, di perpetrare gli omicidi per vendetta nei giorni in cui ricorre la celebrazione dei santi, i cui nomi risultano essere i medesimi delle vittime da vendicare».

San Giovanni e san Francesco

Il 9 agosto 2016 - secondo la ricostruzione - data appunto dell'omicidio del penalista lametino «si celebrano il Beato Giovanni Guarna da Salerno e il Beato Francesco Jagerstatter, in riferimento agli uccisi Giovanni Vescio e Francesco Iannazzo». Il 24 giugno 2017 data dell'omicidio di Gregorio Mezzatesta «si celebra San Giovanni Battista, riferimento a Giovanni Vescio».

La vendetta per i due protetti

Tutti elementi che confluiscono verso una ricostruzione alternativa dell'omicidio, dietro l'agguato si allunga l'ombra della cosca Iannazzo «in ragione della parziale sovrapponibilità degli interessi che hanno condotto all'azione delittuosa». Ciò confermerebbe come «a monte del mandato omicidario di cui è stato vittima Pagliuso potrebbero esserci, invece che Pino Scalise, proprio gli Iannazzo, i quali potrebbero aver fornito il necessario avallo alla decisione di Luciano Scalise di uccidere il legale per vendicare la morte dei due protetti».

Il tradimento 

Infatti, «il fine perseguito da Luciano Scalise era anche (e soprattutto) quello di punire la vittima per aver tradito la sua cosca - di cui nel frattempo era divenuto co-reggente dopo la morte del fratello (Daniele Scalise ndr) - non solo perché aveva assunto la difesa legale dei due Mezzatesta con il consequenziale abbandono di quella in favore degli Scalise ma soprattutto perché aveva salvato dall'ergastolo i Mezzatesta, responsabili del duplice efferato omicidio».

All'insaputa del padre

Luciano Scalise avrebbe così potuto agire senza l'avallo del padre Pino, «molti collaboratori hanno dichiarato che i figli spesso agivano d'iniziativa senza consultare il padre, oppure informandolo a cose fatte» si legge nelle motivazioni che escludono «collegamenti certi ed univocamente riconducibili all'omicidio Pagliuso tra Pino Scalise e Marco Gallo che possano portare a ritenere oltre ogni ragionevole dubbio che abbia effettivamente dato quanto meno il suo assenso, in qualità di capo cosca alla decisione del figlio Luciano di eliminare l'avvocato Pagliuso, con il concorso materiale di Gallo».

L'avallo della cosca

«Quindi potrebbe anche prospettarsi altrettanto plausibilmente che Luciano Scalise abbia chiesto l'avallo della sola cosca Iannazzo per l'omicidio dell'avvocato Pagliuso piuttosto che non quello del padre» conclude la Corte. Ulteriori conferme giungerebbero inoltre da alcune dichiarazioni rese dalla sorella del penalista Assunta Pagliuso, dopo l'agguato. 

"Quelli là"

«Poco dopo l'omicidio venne Pino Scalise al nostro studio e parlò con Francesco ma questo incontro mi parve strano in quanto gli Scalise ce l'avevano con noi già da tempo» racconta la sorella. «Nel corso di quel colloquio Pino invitava Francesco a fare attenzione perché "loro, quelli di là" (riferendosi a quelli di Lamezia Terme ed, in particolare, di Sambiase) ci stavano seguendo e controllando». "Quelli là" sarebbe stato riferito alla cosca Iannazzo.

Associazione mafiosa

Confermata, invece, anche in secondo grado l'accusa nei confronti di Pino e Luciano Scalise di associazione mafiosa. «Pino Scalise ha operato insieme ai figli Luciano e Daniele (quest'ultimo fino alla sua uccisione) in posizione apicale. Tutti i collaboratori hanno poi confermato che l'autonomia della 'ndrina Scalise si è accresciuta dopo le varie operazioni di polizia ed i vari processi che hanno disarticolato le maggiorenti cosche del lametino, quali Giampà, Iannazzo, Arcieri, Cappello, sotto il cui controllo prima operavano».

Giornalista
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