Arresti nel Vibonese

Il porto di Tropea sotto scacco del clan, l’amministratore prima paga l’estorsione e poi denuncia: le intercettazioni

Il gestore del ristorante Marina yacht club Ferdinando La Monica accusato di essere l'intermediario usato dalla cosca La Rosa per estorcere denaro all'imprenditore Aristide De Salvo, socio di maggioranza della società che gestisce lo scalo nella Costa degli dei

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di Francesco Altomonte
26 gennaio 2023
10:28
Il porto di Tropea
Il porto di Tropea

Protezione e sostegno in cambio di soldi. È il “pacchetto” completo che il clan La Rosa vendeva per garantire serenità all’interno del porto di Tropea all'imprenditore che avevano investito nell’importante struttura turistica della Costa degli dei. E nelle carte vergate del gip distrettuale di Catanzaro, che ha autorizzato l'arresto di 56 persone nel Vibonese, emerge anche la figura del ristoratore, Ferdinando La Monica, responsabile del prestigioso Marina yacht club fino al 2018, accusato dall’antimafia di essersi fatto da tramite tra Antonio La Rosa e Domenico Polito con l'imprenditore Aristide De Salvo per consigliarlo di pagare. Una intermediazione che è costata a La Monica l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.

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La vicenda è ricostruita nelle carte dell’inchiesta coordinata dalla Dda di Catanzaro. Secondo gli inquirenti, La Monica avrebbe paventato al suo datore di lavoro «una situazione di rischio per lo stesso ed offrendosi di attivare esponenti della criminalità organizzata di sua conoscenza allo scopo di ottenere protezione, previo pagamento di un importo in denaro, da prelevare dagli incassi dei locali di sua proprietà». A sostegno della tesi di accusa, gli inquirenti portano una serie di conversazioni captate dagli investigatori della polizia che hanno condotto le indagini: «Dai contenuti delle conversazioni – si legge nell’ordinanza – emerge allora il ruolo di intermediario del La Monica, il quale risultava il punto di riferimento delle attività economiche e delle somme di denaro da acquisire da parte dell’articolazione riconducibile ai La Rosa».


«Lucià, Lucià, io mi sono messo a disposizione per lui – avrebbe detto La Monica, io sono andato nella bocca del lupo, Lucià, ma no una volta, prima che facesse l’operazione sono andato là per vedere come era il fatto e mi è stata data carta bianca ed è carta bianca, nessuno è mai andato a rompergli le scatole».

Secondo la Dda, quindi, l’imprenditore Aristide Di Salvo sarebbe stato costretto a pagare un’estorsione di 5mila euro a Antonio La Rosa e anche a Domenico Polito per tramite di Ferdinando La Monica, quale corrispettivo della protezione garantita alle attività imprenditoriali all’interno del porto di Tropea.

Estorsioni al porto di Tropea, la denuncia

Le indagini, secondo quanto emerge dalle carte dell’inchiesta, sono partite dalla querela presentata in questura, il 3 settembre 2019, dallo stesso Aristide De Salvo. Questi aveva riferito agli investigatori di avere acquisito la maggioranza delle azioni della società Porto Tropea spa e di essere diventato amministratore delegato. «Relativamente all’oggetto della società – appuntano gli inquirenti – lo stesso imprenditore specificava, quindi, come la stessa ricomprendesse l’intera area portuale, con ciò intendendosi tutti i servizi connessi e le diverse attività commerciali, ivi compre la gestione dei posti barca e dei punti ristoro».

L’imprenditore riferisce nel mese di giugno 2018 «era stato avvicinato da Ferdinando La Monica, responsabile del ristorante Marina yacht club, sito all’interno del porto, il quale gli aveva proposto e suggerito di attivarsi per non subire attentati da parte della criminalità organizzata, offrendo la propria disponibilità a fungere da intermediario in quanto conosceva le persone che gravitavano nell’ambito criminale, ribadendo anche più volte di “non scherzare con queste persone in quanto era gente pericolosa”».

Il consiglio di La Monica si sarebbe tramutata in una vera e propria richiesta di denaro ad Aristide De Salvo nel settembre 2018: 10mila euro da corrispondere in due tranche di pari importo «facendo finta che stava pagando uno stipendio».

«Compulsato dallo stesso La Monica – scrivono gli inquirenti – quindi, Aristide De Salvo aveva autorizzato il referente ad adempiere alla richiesta estorsiva, prelevando 5mila euro dall’incasso del ristorante Officina del pesce di Catanzaro Lido: operazione che il titolare del ristorante del porto di Tropea avrebbe (asseritamente) perfezionato nel successivo mese di dicembre 2018, in un centro commerciale di Pizzo o Vibo Valentia».

Estorsioni al porto di Tropea: «Io non pago più»

Tuttavia, alla seconda richiesta estorsiva arrivata a gennaio 2019 e relativa alla seconda parte del pagamento estorsivo, Aristide De Salvo si era opposto e aveva dichiarato di volere denunciare l’accaduto.

Questo elemento, gli investigatori lo ricavano da una intercettazione captata tra Domenico Polito e Antonio La Rosa, «durante la quale – si legge nell’ordinanza – gli stessi parlavano di un intermediario, tale “dottore”, che avrebbe dovuto aiutarli a definire le modalità con le quali avrebbero ricevuto i soldi in un settore relativo all’area marittima. Sempre parlando del terzo intermediario, il Polito riferiva di avere ricevuto le sue scuse per non avere mantenuto la parola data e riferiva che lo stesso si era discolpato riconducendo la responsabilità al predetto “dottore”».

Nel corso della conversazione si faceva riferimento, ancora, all’importo che complessivamente avrebbe dovuto essere versato, pari a euro 60mila e all’interesse che nella vicenda nutriva l’intermediario stesso». Antonio La Rosa: «Questo qua catanzarese…dobbiamo vedere come dobbiamo fare u ndi porta chij sordi…liberiamocene così comincia a capire che vuol dire».

Come se non bastasse la pressante richiesta di denaro, La Monica avrebbe riferito a Aristide De Salvo che nel porto di Tropea «avrebbe dovuto essere ormeggiato per un lungo periodo un gommone “di alcune persone pericolose legate allo stesso ambiente criminale degli interlocutori precedenti”». In questo caso, l’imprenditore «avrebbe dovuto stipulare un regolare contratto – per l’importo di 3mila euro – che sarebbe stato inizialmente onorato dagli interessati, quali però la somma avrebbe dovuto essere restituita in contanti in data postuma. Aristide De Salvo, tuttavia, rifiutava sin da subito tale richiesta».

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