Lo pneumologo Salvatore Tripodi è stato aggredito all’interno del Dipartimento di prevenzione dell’Asp della Città dello Stretto. L’Ordine dei Medici condanna la violenza e chiede misure urgenti per la sicurezza del personale sanitario
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Un medico è stato aggredito da un uomo che, senza alcuna prenotazione, pretendeva di essere visitato. È accaduto al Dipartimento di prevenzione dell’Asp di Reggio Calabria. Ieri pomeriggio, nel Centro diagnostico di malattie polmonari sociali lo pneumologo e allergologo Salvatore Tripodi è stato colpito con due pugni al volto. L’aggressione è stata denunciata dall’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della provincia di Reggio Calabria che, in una nota, ha espresso «la più ferma e indignata condanna per la vile aggressione» Tripodi, si legge nella nota, ha riportato «traumi facciali e una momentanea perdita di coscienza. Solo il pronto intervento di alcuni pazienti ha evitato conseguenze ancora più gravi. Un gesto inqualificabile che colpisce non solo il singolo professionista, ma l’intera comunità medica e il servizio sanitario pubblico, già gravato da carenze strutturali e da un costante impegno volto a garantire cure e assistenza a tutti i cittadini, spesso oltre i limiti delle possibilità organizzative». L'Ordine fa riferimento alla «pressione e la carenza di risorse» a cui è sottoposto il personale che garantisce comunque «prestazioni anche oltre l’orario previsto” e lancia “un appello urgente alle autorità competenti affinché vengano adottate misure concrete e immediate per garantire la sicurezza dei medici e di tutto il personale sanitario, nei presidi ospedalieri e ambulatoriali del territorio».
«La violenza contro i medici è una ferita per l’intera società – ha dichiarato il presidente dell’ordine Pasquale Veneziano -. È tempo di dire basta». Sulla vicenda è intervenuto anche il sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà che ha espresso solidarietà a Tripodi.
«Quella della violenza e dell’aggressione agli operatori sanitari - ha sostenuto - è una piaga che va combattuta e soprattutto prevenuta, attraverso interventi integrati dal punto di vista sociale e culturale; perché evidentemente non si è fatto abbastanza, a tutti i livelli istituzionali, se non si riesce a ridurre il rischio di incolumità per chi lavora esposto al pubblico nel comparto sanitario».