In attesa di ottenere la riabilitazione dalle misure che lo colpirono con l’accusa tra le altre di concorso esterno in associazione mafiosa con il presunto boss Giulio Lampada, Vincenzo Giglio decise di "scendere" in politica, formando una squadra che avrebbe dovuto ricercare pacchetti elettorali, con l’idea di svolgere una campagna elettorale finalizzata al rastrellamento di voti in favore di Lucia Caccamo (moglie di Pasquale Maria Tripodi, non indagata), e svolgendola in maniera per così dire riservata, in modo tale cioè da non esporre la candidata ad incontri o strette di mano compromettenti. Una tecnica – annotano gli inquirenti - già sperimentata quando gli stessi sostenevano la candidatura di Alessandro Nicolò. Come allora, erano Vincenzo Giglio e Giuseppe Errante, insieme ad altri più operativi componenti del gruppo (tra cui l’avvocato Franco Perrelli), a realizzare gli accordi elettorali "dì terzo tipo" con i più pericolosi ndranghetisti, non esitando ad introdursi, a tal fine – si legge nelle carte - nei più inquietanti e famigerati meandri della criminalità organizzata.

Il modus operandi

«La circostanza che gli indagati intendano rivolgersi -ed effettivamente si rivolgevano -alla criminalità organizzata al fine di ottenere i voti necessari all’elezione di Lucia Caccamo (che, si badi bene, pur non venendo eletta, otteneva ben 3678 preferenze nonostante fosse sostanzialmente una sconosciuta sulla scena politica regionale) emerge da un serie di intercettazioni captate sia prima che il candidato di punta del gruppo fosse la Caccamo e fino ad alcuni giorni prima delle elezioni regionali del gennaio 2020».

Ma non solo. In una informativa del 17 maggio del 2021 si legge “…ciò che preme qui evidenziare è il fatto che Giuseppe Errante avesse una forte influenza oltre che nel comune di Bova, anche in altre aree della provincia reggina, in particolare nei comuni di Platì e San Luca. Lo stesso evidenziava gli stretti rapporti intercorrenti con personaggi di quella determinata area, dai quali avrebbe certamente ricavato un ampio sostegno elettorale. Sottolineava, però, l'opportunità di evitare pubbliche riunioni tra costoro ed il candidato da sostenere, ciò a cagione del fatto che i primi fossero palesemente inseriti in circuiti di 'ndrangheta”.

Piuttosto – si legge ancora nelle carte - Vincenzo Giglio confermava, senza alcuna remora, che spettava loro creare e mantenere i rapporti con determinati personaggi: "Sulla politica e va bene così; nella vita pratica se tu mi dici Enzo vedi che dobbiamo andare a Montalto che ci dobbiamo incontrare con uno che è latitante, che sta morendo, che lo devo visitare: io parto con te e lo visito, me ne frego tre cazzi”.

I vantaggi del “do ut des”

Per gli inquirenti la consapevolezza che i voti della ‘ndrangheta sarebbero stati funzionali a far eleggere Lucia Caccamo si ricava anche dall'ascolto di alcune conversazioni ambientali e in particolare di quella del 24 ottobre 2019 tra Vincenzo Giglio e Franco Perrelli, alla presenza della figlia di quest’ultimo, Anna Letizia. I due infatti si confrontavano sul fatto che stavano rastrellando voti soprattutto negli ambienti mafiosi, tanto da temere anche ripercussioni giudiziarie personali. La ricompensa però valeva il rischio, perché quel procacciamento di voti, avrebbe loro garantito come tornaconto personale una posizione lavorativa per le rispettive figlie all'interno della struttura politica, oltre l'assegnazione di arbitrati di rilevanti importi economici da dividere tra i due.

Vincenzo Giglio: “Non le perdiamo le elezioni!”; “Questa volta venti anni di carcere mi faccio! “mi deve mettere mia figlia nella struttura e a te tua figlia”.

«Del medesimo avviso – si legge nelle carte - era anche l'avvocato Franco Perrelli, il cui impegno politico era strettamente funzionale ad ottenere una sistemazione lavorativa per la figlia Valeria.

Il “metodo” nuovo

Gli inquirenti ritengono particolarmente interessante una conversazione del 30 novembre 2019 tra Giglio ed Errante, i quali si confrontavano sulla possibilità di procurare voti a Tripodi tramite un intermediario che, previo pagamento di un'adeguata provvigione in denaro, avrebbe messo in contatto l'ex consigliere regionale con un innominabile mammasantissima della ndrangheta.

«Il personaggio cui Errante, tramite intermediario prezzolato, intendeva chiedere voti aveva una caratura delinquenziale tale – si legge nelle carte dell’inchiesta - che Errante si rifiutava di rivelarne il nome, sino a quando Tripodi non avesse dato precise garanzie circa l'effettiva praticabilità dell'operazione e circa la sua disponibilità ad erogare il denaro richiesto dal mediatore [Errante: (. .. ) Che prenda duemila euro e glieli metta nelle mani ... ].

Ma su questa operazione Giglio mostrava qualche perplessità, intanto per il fatto che non sapere chi fosse rendeva l’interlocuzione con Tripodi alquanto difficoltosa, ritenendo la prudenza di Errante troppo eccessiva visto anche che Tripodi non aveva esitato, nel corso di quella campagna elettorale, a chiedere il sostegno ad altri esponenti di rango delle ndrine (e tra questi, Sebastiano Strangio e i rappresentanti della famiglia Logiudice).

«Giglio piuttosto - e qui la parte di particolare interesse per gli inquirenti - si diceva scettico in merito alla proficuità di un accordo da stipulare presso le massime gerarchie della ndrangheta, in grado di controllare i flussi di intere aree territoriali».

In sostanza questo modo di procedere che era un tempo in voga, per Giglio era stato ormai accantonato, essendo preferibile stringere accordi con i singoli esponenti di famiglie con più ristretta capacità di infiltrazione, al fine di non suscitare le attenzioni investigative. Ma Errante replicava con un ragionamento che palesa quelle che gli inquirenti definiscono «le nuove frontiere di operatività del voto di scambio politico mafioso». Secondo detto ragionamento i capi cosca - proprio per evitare che l'eccessiva convergenza di voti verso un unico candidato in alcuni territori, facesse sorgere sospetti negli inquirenti - avevano ormai adottato la cautela di "sparpagliare" le preferenze e, attraverso opportuni accordi con i referenti di altri territori, distribuivano i voti in modo meno compromettente.