Ruota in buona parte attorno al ruolo di Luigi Mancuso all’interno della ‘ndrangheta, la memoria conclusiva della Procura generale di Catanzaro che con i sostituti procuratori Luigi Maffia, Antonio De Bernardo e Annamaria Frustaci ha depositato oltre mille pagine per riassumere le proprie argomentazioni in vista della sentenza d’appello del maxiprocesso Rinascita Scott. Il problema giuridico legato alla posizione di Luigi Mancuso – boss di Limbadi e imputato principale dell’intera operazione Rinascita Scottnon è di secondaria importanza: in primo grado, infatti, a metà dell’istruttoria dibattimentale, precisamente il 19 settembre 2022, la sua posizione è stata stralciata dal maxiprocesso (avendo la Corte d’Appello accolto la ricusazione di due giudici del Tribunale di Vibo) per confluire nel processo nato dall’operazione antimafia “Dedalo-Petrol Mafie”. All’esito del giudizio di primo grado, Luigi Mancuso è stato quindi condannato (da un diverso Collegio rispetto a quello di Rinascita Scott) a 30 anni di reclusione.


“Luigi Mancuso è il boss della ‘ndrangheta di Limbadi ma non è il capo del Crimine della provincia di Vibo Valentia e gli elementi probatori sono insufficienti per affermare che vi sia una ‘ndrangheta unitaria nel Vibonese con a capo Mancuso”. Questi i passaggi salienti delle motivazioni della sentenza del Tribunale collegiale di Vibo Valentia (presidente il giudice Gianfranco Grillone) che pur condannando Luigi Mancuso, di 71 anni, di Limbadi, a 30 anni di reclusione, non ne ha riconosciuto il ruolo di capo della struttura mafiosa denominata “Crimine” che dominerebbe la provincia di Vibo. Le motivazioni della sentenza sono sul punto in netta contraddizione con altra sentenza del Tribunale di Vibo (con giudici diversi, presieduto dal magistrato Brigida Cavasino) che nel troncone principale del maxiprocesso Rinascita Scott hanno invece riconosciuto l’esistenza di una ‘ndrangheta vibonese unitaria con al vertice proprio Luigi Mancuso.
“L’assenza di ulteriori dati probatori non consente di andare oltre il riconoscimento di relazioni diplomatiche tra gruppi criminali distinti – si legge nella sentenza Dedalo-Petrol Mafie- cristallizzate nei servizi di osservazione del territorio e nelle intercettazioni proposte al Collegio. In tale contesto Luigi Mancusoreggente il locale di ‘ndrangheta di Limbadi – ha dimostrato una indiscussa capacità relazionale, correlata alle sue doti carismatiche, che si ripropone anche nei rapporti tra le cosche attive di Vibo Valentia”.

La posizione di Luigi Mancuso in appello

Nel processo di secondo grado relativo all’operazione Rinascita Scott (troncone con rito ordinario), la posizione di Luigi Mancuso è stata di nuovo riunita e la Corte d’Appello di Catanzaro si troverà quindi a dover decidere se nel Vibonese esiste una ‘ndrangheta unitaria con vertice assoluto Luigi Mancuso – collegata al “Crimine” di Polsi – oppure sia valida l’impostazione della sentenza emessa dai giudici del processo Petrol-Mafie che hanno collocato il boss a capo del solo locale di ‘ndrangheta di Limbadi, pur in rapporti diplomatici con i principali clan del Vibonese e dell’intera Calabria, specie della provincia di Reggio Calabria. Secondo la Dda di Catanzaro e la Procura Generale che ha presentato sul punto la propria memoria conclusiva, “l’associazione criminale vibonese è da intendersi come una federazione di cosche, con connotazione tendenzialmente unitaria e che segue le regole formali del Crimine di Polsi sotto la supervisione ed il raccordo garantito da Luigi Mancuso, a cui risulta ascrivibile il ruolo di Crimine locale ed è composta dalle articolazioni facenti capo allo stesso Luigi Mancuso (cosca Mancuso – locale di Limbadi), a Rosario Fiarè e Saverio Razionale (locale di San Gregorio d’Ippona), a Vincenzo Barba, Antonio Lo Bianco, Paolino Lo Bianco, Filippo Catania e Domenico Camillò (cosche Lo Bianco-Barba-Pardea, locale di Vibo Valentia), a Giuseppe Accorinti (locale di Zungri), a Giuseppe Salvatore Galati (cosca dei Piscopisani, locale di Piscopio) a Pasquale e Domenico Bonavota, e Domenico Cugliari (locale di Sant’Onofrio) ed i gruppi e le ‘ndrine ad esse collegate”.

La confusione tra le due sentenze

Per la pubblica accusa nella sentenza di primo grado nei confronti di Luigi Mancuso vi è una chiara confusione tra il concetto di ‘Ndrangheta unitaria (concetto che si fonda, tra l’altro, su giudicato definitivo maturato all’esito del c.d. processo Crimine celebrato a Reggio Calabria), quello di “Capo Crimine” di Polsi già ricoperto – fino al 2008 - da Antonio Pelle, alias “Gambazza”, di San Luca (e successivamente, dal 2009, da Domenico Oppedisano di Rosarno) e quello di appartenenza della ‘Ndrangheta della provincia di Vibo Valentia al Crimine di Polsi (concetto anche questo stabilito definitivamente all’esito del processo Crimine celebrato a Reggio).


I sostituti procuratori generali Luigi Maffia, Antonio De Bernardo e Annamaria Frustaci ricordano quindi che nell’impostazione accusatoria della Dda di Catanzaro relativa al maxiprocesso Rinascita Scott “non è stato mai sostenuto, in nessuna sede, che Luigi Mancuso abbia assunto il ruolo in precedenza ricoperto da Antonio Pelle, né tantomeno una simile condotta è descritta nel capo d’imputazione, che è in assoluto l’unico perimetro all’interno del quale si è sviluppata l’istruttoria in primo grado, laddove si fa esclusivo riferimento alla riconducibilità dell’area del Vibonese al Crimine di Polsi (statuizione già definitivamente consolidata all’esito del processo “Crimine”) ed al ruolo di Luigi Mancuso quale soggetto di riferimento del Crimine di Polsi per l’area del Vibonese, quale Crimine per il Vibonese”.


Per la pubblica accusa, inoltre, “è necessario comprendere la logica di alcuni reati fine” contestati nel maxiprocesso Rinascita Scott dal momento che “senza comprendere il ruolo di Luigi Mancuso, senza capire la natura del ruolo di Luigi Mancuso, è più difficile comprendere anche lo svolgimento di alcuni reati fine, la cui consumazione chiama in gioco proprio questo ruolo” in una posizione centrale e imprescindibile. Ed ancora: “solo l’approccio unitario – sostiene la Procura Generale – e la messa a fuoco del ruolo di Luigi Mancuso consentono di comprendere le dinamiche che stanno alla base di quelle estorsioni che vanno al di là del canone classico secondo cui la cosca che opera sul territorio X fa le estorsioni sul territorio X”.


La pubblica accusa, dunque, sottolinea che “il vero processo alla 'ndrangheta vibonese si è svolto davanti al Collegio del Tribunale di Vibo presieduto dalla dott.ssa Cavasino, mentre i giudici del Collegio “Dedalo-Petrolmafie” avevano essenzialmente davanti a loro contestazioni riguardanti il solo locale di ’ndrangheta di Limbadi. Di fatto, non aver vissuto e maturato l'istruttoria nella sua prima parte - quindi, sulle questioni strutturali - e non avere nemmeno, in qualche modo, la necessità di approfondire le tematiche generali della collocazione dell’intera ‘ndrangheta vibonese nell’organismo unitario rispetto a un panorama imputativo che di per sé limitava il focus a una fetta specifica del territorio del Vibonese, ha evidentemente inciso nell'approccio che i giudici hanno avuto in quella sentenza”. Da qui la necessità che la posizione e il ruolo di Luigi Mancuso vengano definitivamente chiariti dai giudici della Corte d’Appello di Catanzaro.