’Ndrangheta

«Se faccio un piacere al giudice mi abbassano la pena». I progetti del «referente» dei clan a Milano per aggiustare un processo

Filippo Crea, ritenuto dai pm vicino al clan Iamonte, racconta la proposta ricevuta per dimezzare una condanna. La Dda: «Avrebbe dovuto riciclare 15 milioni provenienti dall’estero»

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di Pablo Petrasso
23 gennaio 2024
11:00

«Se gli faccio un piacere al giudice, si prende la responsabilità di abbassarmi la pena a tre anni». Filippo Crea è, per i magistrati della Dda di Milano, uno dei referenti della ’ndrangheta al Nord. Indagato nell’inchiesta Hydra, per lui il gip ha negato l’applicazione di misure cautelari perché considera fumose le accuse formulate dai pm. Negli atti dell’indagine – la valutazione appartiene alla Procura antimafia – emergerebbe «la caratura criminale» di Crea.

Il luogo in cui si svolge la conversazione in cui si fa riferimento al «giudice» è l’ufficio di Cinisello Balsamo ritenuto il centro delle attività del gruppo che fa capo ai Crea. Il padre di Filippo, Santo, è considerato degli investigatori un pezzo grosso del clan Iamonte in Calabria. Suo figlio si muove ad altre latitudini: in questa intercettazione che risale al 14 dicembre 2021 parla con la sua segretaria, sua «complice in tutte le attività economico-finanziarie illecite», e fa riferimento «a un processo penale che lo vedeva coinvolto» e che a breve sarebbe arrivato al nuovo step processuale dopo una condanna a sei anni e mezzo.


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Come sempre in questi casi, ci si muove al confine delle millanterie: Crea riferisce di un contatto che potrebbe garantirgli uno sconto di pena. Inquieta il riferimento a ciò che il gruppo dovrebbe fare per ammorbidire il giudizio. Crea spiega alla propria collaboratrice che, «attraverso la costituzione di alcune società, avrebbe dovuto riciclare 15 milioni di euro provenienti dall’estero, di cui avrebbe ricevuto una percentuale dell’1%». Si tratterebbe, in sostanza, di contattare un intermediario per spostare il denaro con «bonifici che entrano ed escono, che vengono dall’estero». La richiesta sarebbe chiara: «Facci ’sto piacere a lei, così ti abbassa la pena». E Crea si dice «sicuro al mille per mille. Lo incontrerò e parleremo». Le modalità operative di questa presunta operazione di riciclaggio restano piuttosto vaghe. Il presunto referente dei clan al Nord evidenzia che «per il disturbo mi lascia anche l’un per cento» e che «in teoria servono due società» per portare a termine il progetto. È sufficiente che il consulente metta «due società, pure neo costituite e fa quello che bisogna fare, basta che non ci blocca i conti».

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La (presunta) rapina da 74 milioni all’Esselunga di Milano

Sempre sul filo delle millanterie (e forse oltre) si svolge un’altra telefonata che ha Filippo Crea come protagonista. Questa volta l’uomo racconta al proprio interlocutore «i suoi trascorsi criminali rimasti impuniti». Narra «di aver rapinato 74 milioni di lire alla posta e, nel corso di una rapina a un supermercato Esselunga a Milano, di aver ferito una guardia giurata», portando via i soldi. L’episodio continua in famiglia, con la madre di Crea preoccupata per le gesta del figlio e il padre imbestialito: «Quando è uscito (di carcere, ndr) – spiega Filippo Crea – mi voleva ammazzare… mi ha portato da parte... mi disse scava là». Sembra la scena di un film, con il giovane Crea costretto a scavare e il padre che osserva: «Dissi: mi ammazza, ora mi ammazza». La storia non ha un finale drammatico: sotto terra c’è una valigia e «dentro c’erano una paccata di soldi». Insomma, non ci sarebbe stato bisogno di mettere a segno il colpo da 74 milioni o di ferire la guardia giurata: i soldi in famiglia non sarebbero mancati.

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