L’inchiesta Hydra

’Ndrangheta, la pax mafiosa «dopo 100 anni» e gli equilibri criminali nel Reggino: «È lui il nuovo garante dalla marina alla montagna»

Le intercettazioni a Cinisello Balsamo svelano gli assetti nei clan. Il presunto ruolo di Santo Crea: «È uno dei tre che assumono decisioni a Milano». Il figlio: «Sono 50 famiglie… ed è già finito in un’informativa». Lo scontro tra la Dda lombarda e il gip (che nega le misure cautelari)

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di Pablo Petrasso
9 gennaio 2024
06:15

Anche le conversazioni che avvengono a Cinisello Balsamo raccontano ciò che accade in Calabria. Gli avamposti della ’ndrangheta in Lombardia mantengono legami forti con la “casa madre”. E a Milano si raccontano gli effetti delle decisioni prese nel profondo Sud: nuovi equilibri, investiture, rituali che hanno riverberi anche nei territori in cui i clan mettono radici per fare affari.

Il “rituale” per il nuovo “garante” del clan Iamonte

Per la Dda di Milano Santo Crea, 71 anni, è una delle figure centrali nel clan Iamonte. I magistrati, negli atti dell’inchiesta “Hydra” (nella quale Crea è indagato ma non sottoposto a misura cautelare), parlano di «netta ascesa» di Crea «nella struttura dell’organizzazione ‘ndranghetista». Investitura che sarebbe avvenuta «attraverso un vero e proprio rituale», per conferirgli il ruolo di «“garante e responsabile” nell’ambito della cosca per tutta l’area di Melito di Porto Salvo, “dalla marina alla montagna”». Come spesso accade, una pace avrebbe portato al conferimento di nuovi ruoli di comando. Anche in questo caso, la “scalata” del 71enne sarebbe legata «ai nuovi pacifici equilibri raggiunti a seguito della riconciliazione delle famiglie mafiose, proprio grazie all’intervento dello stesso Santo Crea». Alla nomina del nuovo “capo” sarebbe seguita «l’attribuzione al figlio Filippo Crea del ruolo di referente locale della cosca ‘ndranghetista al Nord Italia». «Rappresento io ora» è la frase – pronunciata in una intercettazione del 2020 – con la quale gli investigatori riassumono i compiti del giovane Crea al Nord. Lo spettro dei compiti sarebbe vasto: «Intesseva nuovi rapporti principalmente orientati ai fini di lucro, con esponenti di altre organizzazioni di stampo mafioso; si relazionava con rilevanti esponenti ‘ndranghetisti affiliati alla propria o ad altre cosche, si spendeva a favore dei sodali calabresi al Nord Italia e intesseva rapporti con esponenti politici e istituzionali, funzionali ad ampliare il cosiddetto capitale sociale dell’organizzazione». E poi riferiva tutto a suo padre. Ipotesi, queste, che il gip di Milano non ha ritenuto di condividere, rigettando la richiesta di misura cautelare per entrambi i Crea.


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‘Ndrangheta, Camorra e Cosa nostra: il sistema lombardo (che per il gip non esiste)

Nel quadro accusatorio, Santo Crea viene posto ai vertici del sistema mafioso lombardo, camera di compensazione tra Cosa nostra, Camorra e ’Ndrangheta. Assieme a William Alfonso Cerbo (soprannome “Scarface”, sarebbe vicino alla cosca Mazzei di Catania) e Giancarlo Vestiti (che gli inquirenti considerano legato al clan camorristico dei Senese, attivo a Roma), Crea sarebbe «uno dei soggetti titolari ad assumere decisioni». Circostanza, questa, «che – secondo la Dda di Milano ma non secondo il gip – conferma l’esistenza dell’organismo plurisoggettivo ove gli esponenti di diverse componenti criminali sono “autorizzati” a interloquire in rappresentanza delle rispettive compagini e anche dell’organismo unitario. In particolare, Crea per gli Iamonte, Vestiti per Senese, Cerbo per i catanesi».

In particolare, il rapporto tra Crea e Vestiti i due è stretto. Il calabrese riconosce all’imprenditore campano una centralità nella “rete”. «Guardate – gli dice – che voi siete al centro, siete come epicentro di molti equilibri» e, davanti alla perplessità dell’amico («non capisco…»), chiarisce: «Voi siete l’epicentro di molti equilibri, per i figlioli, per noi, per tutti, Giancarlo».

«Compare Santo responsabile dal mare alla montagna»

Se Vestiti ricopre – sempre secondo l’accusa – un ruolo di raccordo al Nord, Crea sarebbe il punto di riferimento per la cosca Iamonte in Calabria. In uno dei dialoghi intercettati, si evidenzia che «ora compare Santino… sono successe diverse cose belle… anche su Filippo, una cosa importantissima… compare Santo responsabile… responsabile di tutta Melito… dal mare alla montagna… rappresenta… e la situazione è molto positiva a livello di tante situazioni, si è aperto uno scenario importante». Della presunta investitura per il padre parlerebbe anche Filippo Crea. «Perché mio padre non si ricorda i cristiani… tipo, a Trapani andiamo a parlare con, non si ricorda il nome, quindi gli hanno messo a fianco il mio compare, quello che mi battezzò, e sono tutti e due responsabili dalla montagna fino al mare, sai che vuol dire, 50 famiglie, ma tu t’immagini, ma sai cosa vuole dire, Michele… vuole dire “ergastolo” Michele, vuole dire che la prima associazione… sai cosa è uscito da là, di uno che gli spiffera l’informative… lo sai, che già c’è il nome di mio papà… dove sono andato ieri pomeriggio mi hanno detto “compare, vedete che già c’è il nome di vostro padre, lo sanno già, con quelli della montagna». Nuovo ruolo e nuovi rischi, con il solito inquietante riferimento a notizie riservate che arrivano all’orecchio degli indagati, ai quali qualcuno racconterebbe il contenuto delle informative firmate dagli investigatori.

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«Sono riusciti a fare pace dopo 100 anni»

È un altro uomo che i magistrati considerano vicino alla cosca Iamonte, a chiarire a Filippo Crea – non prima di aver portato altrove i cellulari – «come si era evoluta la situazione in seno all’organizzazione ‘ndranghetista: la “guerra” tra la “montagna” e la “marina” (riferendosi geograficamente ai paesi posizionati a monte e a valle di Melito di Porto Salvo) e Santo Crea era stato investito del ruolo di “garante” del nuovo equilibrio a seguito di un vero e proprio “rituale”». Qualche giorno dopo, il giovane Crea commenta quasi incredulo: «Io non ci credo che sono riusciti a far pace, è una cosa che dura da 100 anni, ora… o hanno dato retta a mio papà che gli ha fatto far pace… per garantire tutti e due… però... omissis.. o lo ha fatto per il mio futuro forse… così io non mi mettevo in guerra con nessuno… perché ha visto che ogni volta che scendevo c'è ne era sempre una… ma tu lo sai che mi viene in automatico, spontaneo quando scendo gli faccio un dispetto immediato, cioè era una cosa automatica per me, inc… cioè non so neanche come guardare, chi guardo sempre male da 20 anni… male… indifferente è una cosa strana per me, è una cosa illogica…».

Il gip nega la misura cautelare

L’accusa legata alla partecipazione di Crea al sistema mafioso lombardo è stata scartata dal giudice delle indagini preliminari, che non ha riconosciuto l’esistenza di un unico consorzio criminale che abbia le caratteristiche di un’associazione mafiosa. Per il 71enne di Melito Porto Salvo, dunque, il gip si è espresso soltanto riguardo a un reato in materia di detenzione di armi, ritenendo il quadro indiziario insufficiente. La richiesta dell’applicazione di una misura cautelare in carcere è stata respinta «per assoluta inesistenza delle esigenze attuali e concrete».

«La competenza è del Tribunale di Reggio Calabria»

Sempre il giudice per le indagini preliminari apre un altro scenario giudiziario ed evidenzia che l’associazione mafiosa a cui fa riferimento la Dda di Milano «ha sede e opera in Calabria, a Melito Porto Salvo». E di questa Filippo Crea «sarebbe il referente per “il nord Italia”»: per il magistrato «la competenza a valutare l’esistenza dell’associazione non può che spettare al Tribunale di Reggio Calabria». È (anche) questo uno dei passaggi dello scontro in punta di diritto che ha caratterizzato la diversità di valutazioni tra Dda di Milano e Tribunale. Ancora secondo il gip «la ramificazione lombarda non ha alcuna autonomia decisionale rispetto alla direzione calabrese». Lo proverebbe una delle considerazioni di Filippo Crea: dice «di essere stato “messo in croce” dopo l’investitura del padre». Questo perché, «evidentemente non agiva per conto suo ma su ordine dei vertici calabresi e in particolare del padre Santo Crea, saldamente ancorato al territorio calabrese». Nel primo step giudiziario non sarebbe dunque stata «individuata alcuna locale nella provincia di MIlano» e non sarebbe neppure giustificata «la scelta processuale della Procura della Repubblica di avanzare richiesta» nel capoluogo lombardo. Sarà il Tribunale del riesame ad affrontare uno scontro giuridico che investe direttamente gli equilibri criminali nella Locride.

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