Nel rapporto della Fondazione Magna Grecia, presentato all’Onu, emerge il registro comunicativo che ha trasformato i pizzini in esibizione di ricchezza e il silenzio in contenuti pop. Uno scenario davanti al quale la repressione “classica” non basta
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Il volto della criminalità organizzata è in continua evoluzione. Se un tempo la sua comunicazione si celava nel silenzio dell'omertà o nei messaggi criptici dei pizzini, oggi le mafie contemporanee hanno abbracciato con sorprendente rapidità l'era digitale, trasformando radicalmente le proprie strategie comunicative e di reclutamento. È uno dei punti fermi del rapporto “Le mafie nell’era digitale. Focus Tik Tok”, presentato nella sede del Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite, nel corso dell’evento “Organized crime in the social media age”, dalla Fondazione Magna Grecia.
Le piattaforme digitali – spiega il rapporto – funzionano come territori virtuali dove agiscono strategie di conquista dello spazio pubblico, di rafforzamento della reputazione e di invisibilità attraverso forme di sommersione e occultamento, soprattutto nei meandri del dark web. Uno degli snodi teorici fondamentali è la migrazione dei simboli mafiosi nel digitale. La cultura mafiosa trasloca l’intero patrimonio simbolico (reliquie, immagini, canzoni, rituali, narrazioni familiari) nei nuovi altari virtuali dove i “memento” materiali lasciano il posto a emoji, hashtag, sound design e coreografie audiovisive, veicolando una memoria identitaria che non documenta il passato ma lo modella in funzione di una maschera prescrittiva.
Questa dimensione si consolida soprattutto grazie alle piattaforme più dinamiche e virali come TikTok che favoriscono non solo il rafforzamento della coesione interna dei clan, ma anche la normalizzazione e l’apologia del vissuto criminale attraverso contenuti ironici, ambigui, celebrazioni e simulazioni che dissolvono il confine tra finzione e realtà.
La Mafiosfera
Il cuore di questa trasformazione risiede nel concetto di "mafiosfera", ovvero un sotto-ambiente comunicativo e semiotico che, pur articolandosi all'interno dell'infosfera contemporanea (e quindi dentro allo spazio informativo in cui dati e conoscenza vengono prodotti, trasmessi e fruiti), ne mutua la struttura per rovesciarne finalità e codici etici. Questa mafiosfera si manifesta su tre livelli interconnessi: un livello endogeno, che riguarda la comunicazione interna e i rituali di affiliazione; uno esogeno, che proietta l'immaginario mafioso verso l'esterno attraverso stereotipi e narrazioni mediatiche; e un livello interstiziale, dove avviene una sottile negoziazione e contaminazione tra la mafia e la società civile. È in questo spazio che avviene l'infiltrazione più sottile e pericolosa, quella che rende “normali” comportamenti e valori che dovrebbero essere estranei a una comunità. Laddove l’infosfera si fonda su principi di trasparenza, partecipazione e responsabilità informativa, la mafiosfera opera secondo logiche di opacità, manipolazione simbolica, intimidazione e mitizzazione del potere mafioso.
Il Mafiofilo
Un attore fondamentale in questo scenario è la figura del "mafiofilo” che va ben oltre la tradizionale distinzione tra affiliato e simpatizzante. I mafiofili manifestano, in particolare su piattaforme come TikTok, un'affinità emotiva e culturale verso la mafia, pur non essendo necessariamente coinvolti direttamente in attività criminali. Sono "prosumer" (cioè produttori-consumatori) che trasformano i simboli, i linguaggi e i rituali mafiosi in veri e propri prodotti di consumo culturale digitalizzato. Li “vestono” per esporli in una “vetrina” dove la performatività, la viralità e la spettacolarizzazione della ricchezza ostentata diventano strumenti di marketing criminale, con offerte “a pacchetto” che promettono benessere, protezione e status sociale. E per farlo spesso li spogliano della loro gravità morale originale, presentandoli come "fiction virali" o "melodrammi emozionali". Impiegano codici visivi e sonori distintivi: musica neomelodica e trap, immagini di lusso, abiti griffati, citazioni da serie di successo. La narrazione mafia-pop assume quindi una doppia valenza, ironica e complice: il mafioso è criminale ed eroe al tempo stesso, il successo e il rispetto sono amplificati dall’estetica della ricchezza e dalla logica di engagement algoritmico. Il mafiofilo produce un rumore di fondo che confonde i confini del fenomeno: amplifica il messaggio, nasconde la natura criminale dietro l’apparenza performativa e lo rende appetibile per chi cerca modelli alternativi di successo giovanile e trasgressivo. Un esempio emblematico di questa dinamica si è verificato nel gennaio 2023, quando sono stati diffusi video che simulavano l'arresto di Matteo Messina Denaro, con particolare attenzione al suo look casual e agli abiti di marca, mentre contemporaneamente alcuni adolescenti interpretavano per il pubblico della piattaforma i boss corleonesi impegnati nella pianificazione delle stragi di Capaci e via D'Amelio.
Mobstering
La ricerca ha identificato diverse pratiche attraverso cui questo immaginario mafioso si diffonde e si consolida online. Una di queste è il mobstering (modo in cui usano i social), che comprende tutte le attività narrative e simboliche con cui i mafiofili diffondono e normalizzano modelli comportamentali mafiosi attraverso i social. Questa pratica si alimenta dell'imitazione e della performatività dei codici mafiosi, concretizzandosi in selfie con pose intimidatorie, didascalie in gergo dialettale, nickname che richiamano boss famosi e meme celebrativi. Un caso lampante si è verificato nel novembre 2023 a Pianura, Napoli, dove, in seguito all'arresto di giovani spacciatori, familiari e amici hanno caricato video su TikTok con messaggi di sostegno come "La galera è il riposo del leone" o "Ti aspetto fuori, vita mia", per dimostrare fedeltà al clan e disprezzo verso le forze dell'ordine. Un altro esempio chiaro è il profilo TikTok "@broker detenuti.78", che, con migliaia di follower, chiedeva "indulto e amnistia" per 'ndranghetisti, glorificando i boss e insultando i collaboratori di giustizia.
Mobinfluencing
Accanto al mobstering, emerge il mobinfluencing, una modalità più sofisticata e consapevole attraverso cui mafiosi e mafiofili sfruttano i social media per costruire consenso sociale, legittimare la propria presenza territoriale e promuovere un'immagine pubblica positiva. Il mobinfluencer si presenta come un personaggio pubblico, curando meticolosamente la propria reputazione digitale e proponendo una narrazione "glamourizzata" della vita criminale, spesso enfatizzando gesti di generosità verso la comunità, attività filantropiche e la protezione dei deboli. Ne sono esempi eloquenti figure come Crescenzo Marino, primogenito di Gennaro Marino, che prima del suo arresto nel luglio 2022 - poi assolto e scarcerato dalla Corte di Appello - era un creator molto seguito su TikTok, esibendo un lusso sfrenato con vacanze a Mykonos, corse in Ferrari e champagne costose. Similmente, Massimiliano "Junior" Esposito, figlio del capoclan di Bagnoli, usava Instagram e TikTok per ostentare la sua immagine, con video della sua festa di compleanno in decapottabile e simboli legati alla famiglia criminale. Anche Tina Rispoli, vedova di camorra e moglie del cantante neomelodico Tony Colombo, si è affermata come luxury lifestyle influencer su Instagram, utilizzando la sua immagine per creare uno storytelling glamour e ottenere legittimazione come "notabile locale".
Ganginfluencing
Queste pratiche si saldano infino con il ganginfluencing, un fenomeno internazionale che riguarda le strategie di comunicazione di gang urbane, cartelli narcotrafficanti, organizzazioni criminali transnazionali su social come TikTok. Il ganginfluencer è più diretto e spettacolare nell’ostentazione della violenza, si affida a codici estetici urbani, musicali (trap, rap, reggaeton), utilizza linguaggi gergali e promuove la propria immagine di gruppo attraverso la costruzione attiva e provocatoria di una brand identity criminale. Video con armi, droghe, auto modificate, ostentazione sessualizzata delle donne, uso di emoji come segnali di status o di appartenenza, hashtag geolocalizzati, pratiche di Internet banging (scontri, provocazioni, dominio tra bande rivali digitali): tutto serve a rafforzare la funzione identitaria, fare reclutamento passivo, e dare corpo a una mitologia mediatica, spettacolare e identitaria che fa della gang uno spettacolo da emulare, un canale efficace di riscatto, denuncia e aggregazione. I cartelli messicani, ad esempio, sono stati pionieri nella colonizzazione di YouTube, Instagram e TikTok con figure come El Chino Antrax del Cartello di Sinaloa che esibiva uno stile di vita lussuoso su Instagram. Studi recenti sui "Chapitos" rivelano come la notorietà di TikToker e YouTuber venga strumentalizzata per riciclare denaro e promuovere l'organizzazione.
Emoji-Musica-Dialetto
L'analisi dei contenuti rivela l'uso strategico e codificato di elementi digitali per veicolare messaggi mafiosi. Le emoji, ad esempio, assumono significati specifici: la catena simboleggia detenzione e lealtà, il leone rappresenta forza e coraggio, e il cuore rosso esprime sostegno ai detenuti e legami emotivi profondi. La bandiera spagnola può indicare l'affiliazione al clan degli Scissionisti di Secondigliano. Nel contesto foggiano, il cuore azzurro è un'emoticon caratteristica, spesso associata a corone o gocce di sangue, evocando un senso di appartenenza a un'élite chiusa. La musica, in particolare quella neomelodica e trap, viene ampiamente utilizzata per accompagnare immagini di lusso e atteggiamenti da "boss". Artisti come Antonio Muscetti, con la sua trilogia "Malavita", e Niko Pandetta, con brani come "Pistole nella Fendi", glorificano apertamente la vita criminale. L'ostentazione di brand di lusso come Nike, Adidas, Dsquared, automobili costose, gioielli e abiti firmati è un mezzo chiave per costruire un'immagine di potere e successo. Infine, l'uso del dialetto in video brevi e immediati contribuisce a creare un "folklore digitale" e un senso di appartenenza esclusiva.
Il fascino discreto delle mafie digitali
La vita del boss viene narrata come una "fiction virale", con montaggi musicali e video emozionali che ne esaltano la figura; anche il carcere viene spettacolarizzato, con arresti trasformati in "reality show" e videochiamate con i familiari. Questo fenomeno conduce a una "normalizzazione celebrativa" e, in alcuni casi, alla banalizzazione della violenza, rendendo la mafia un oggetto "pop" e persino desiderabile. Gli algoritmi delle piattaforme digitali poi fanno il resto, amplificano questa "post-verità sistemica", premiando i contenuti più virali e contribuendo a una sorta di "assuefazione" che annulla la distanza critica. È interessante notare come le donne, specialmente nel contesto foggiano, stiano assumendo un ruolo più visibile e attivo in questo panorama, promuovendo attività commerciali e rielaborando l'estetica mafiosa con elementi appariscenti. Di fronte a questa "metamafia glocalizzata", che sfrutta la tecnologia e la cultura digitale per auto-rigenerarsi e influenzare i giovani, è impellente ripensare le strategie di contrasto.
La repressione tradizionale non basta
La sola repressione tradizionale non è più sufficiente; sono necessarie "strategie di resistenza mediale", la costruzione di "contro-narrative virali" e una "didattica critica" mirata a fornire consapevolezza e immunità emotivo-cognitiva agli utenti. La lotta contro la criminalità organizzata si sposta, dunque, in modo significativo sul terreno della competizione per l'attenzione e il controllo degli immaginari collettivi. È urgente quindi sviluppare un nuovo paradigma interpretativo per comprendere e contrastare l'evoluzione delle organizzazioni mafiose nell'era digitale. La mafiosfera rappresenta un dispositivo teorico capace di sistematizzare ricerche sparse, facilitare analisi transdisciplinari e proporre approcci critici alla rappresentazione e comunicazione del potere mafioso.
L'analisi comparata tra il contesto italiano e quello messicano dimostra che TikTok è diventato uno spazio fertile per la costruzione di identità digitali criminali capaci di attrarre un pubblico giovane attraverso simboli propagandistici e promesse materiali. L'attivismo social non risponde solo a necessità organizzative ma sfrutta la vulnerabilità socioeconomica diffusa, il desiderio di appartenenza e le aspirazioni di riscatto sociale. In un'epoca in cui la devianza muta forma, linguaggio e strategie comunicative, comprendere e definire la mafiosfera diventa un compito urgente per le scienze della comunicazione, chiamate non solo ad analizzare ma anche a intervenire criticamente nello spazio simbolico che costituisce oggi uno dei terreni principali dello scontro tra mafie e antimafia. Tale urgenza non riguarda solamente l'Italia e l'Europa, ma tutte le realtà nazionali e continentali che devono applicare paradigmi innovativi per l'interpretazione di fenomeni mafiosi e similari.