Nel nuovo romanzo di Massimo Proietto e Antonio Barracato, in uscita il 15 ottobre per Edizioni Minerva, il pallone diventa metafora di riscatto e speranza. La storia di Paolino Rinaldi racconta il coraggio di chi cade e trova nell’amore la forza per rialzarsi
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Il calcio come metafora della vita, il riscatto come filo conduttore, l’amore come forza che salva. “Chi vive d’amore. Il Cannoniere.” scritto a quattro mani dal vicedirettore di Rai Sport Massimo Proietto e dal pluripremiato autore Antonio Barracato, è un romanzo che unisce emozione e realismo, passione sportiva e riflessione sociale. Pubblicato da Edizioni Minerva, il libro sarà in libreria dal 15 ottobre.
Apre il volume la prefazione di Federica Cappelletti Rossi, presidente della Divisione Serie A Femminile Professionistica Figc, è stata la moglie del campione del mondo dell’82 Paolo Rossi, che sottolinea la capacità degli autori di parlare a tutti, anche a chi non ama il calcio, con una scrittura limpida e sincera, capace di toccare corde universali.
Il protagonista, Paolino Rinaldi, è un ragazzo cresciuto nell’hinterland milanese, fragile e pieno di ferite, ma animato da una determinazione incrollabile. Il pallone diventa la sua via di fuga e, insieme, la sua ancora di salvezza. Attraverso il calcio, Paolino impara a credere in sé stesso, a rialzarsi dopo le sconfitte, a trasformare il dolore in energia.
Il romanzo segue il suo cammino, fatto di sogni, sacrifici e incontri che cambiano il destino. Ma, al di là del campo, Chi vive d’amore racconta molto di più: parla di amicizia, solidarietà, lealtà, dei legami veri che resistono al tempo e alle difficoltà. È un invito a credere nella forza delle passioni e nell’amore come motore di ogni rinascita.
Lo stile è diretto e cinematografico: le pagine scorrono come una partita vibrante, tra colpi di scena e momenti di silenziosa commozione. Il calcio, nelle mani dei due autori, diventa simbolo della vita stessa, con le sue regole, le sue cadute e le sue ripartenze. Un richiamo ideale a La leva calcistica della classe ’68 di Francesco De Gregori, dove il coraggio e l’altruismo definiscono un vero giocatore, e forse anche un vero uomo.
Gli autori
Massimo Proietto, calabrese, giornalista e Vicedirettore di Rai Sport, ha iniziato la carriera a soli sedici anni nelle tv locali per poi approdare a Rai1 e Rai2, dove ha lavorato come conduttore e inviato in programmi di successo come Uno Mattina in famiglia, Linea Verde e I fatti vostri. Ha condotto il festival Musicultura e dal 2018 è Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana per meriti professionali.
Antonio Barracato, scrittore, poeta e regista, è fondatore e presidente del Cenacolo Letterario di Cefalù e ideatore del Premio Internazionale “Città di Cefalù”. Con oltre seicento riconoscimenti letterari, ha pubblicato numerosi romanzi e sillogi poetiche. La sua scrittura è segnata da una profonda umanità e da una costante attenzione ai temi sociali e culturali.
Chi vive d’amore è un romanzo che parla di calcio, ma soprattutto parla di vita. Di chi cade e trova la forza di rialzarsi. Di chi sogna, ama, lotta e non smette mai di crederci.
L’intervista a Proietto
Come nasce l’idea di un romanzo che usa il calcio come strumento di riscatto e metafora della vita?
L’idea nasce dalla convinzione che il calcio, come altri sport e linguaggi sportivi, sappia raccontare la vita vera. Dentro un campo si concentrano la fatica, le sconfitte, i momenti di svolta, la gioia della squadra, la solitudine del rigore: tutto ciò che forma un essere umano. Abbiamo voluto restituire al calcio la sua anima originaria, quella che non ha nulla a che fare con i riflettori o il denaro, ma con l’educazione, la lealtà e la solidarietà. Per Paolino il pallone diventa il mezzo attraverso cui affrontare il dolore e ritrovare se stesso. In fondo “Chi vive d’amore” è proprio questo: la storia di un ragazzo che, giocando, impara a vivere.
Paolino Rinaldi è un personaggio inventato o racchiude esperienze e persone reali che avete incontrato nel vostro percorso?
Paolino è un personaggio di fantasia, ma nasce dall’osservazione del reale. È il volto di tanti ragazzi incontrati negli anni: nei campi di periferia, nelle scuole, nei centri sportivi. Giovani con sogni grandi e pochi mezzi, ma con una forza interiore straordinaria. In lui convivono tante esperienze vere e reali - la perdita, la rinascita, la fiducia negli adulti giusti - che lo rendono universale. È fragile e insieme fortissimo, come tanti adolescenti che cercano nel calcio, o in una passione qualsiasi, la strada per riscattarsi. Paolino non rappresenta solo un calciatore: rappresenta la possibilità di non soccombere, di rimettersi sempre in gioco.
Il titolo “Chi vive d’amore” richiama un valore universale: che ruolo ha l’amore, in senso ampio, nel vostro racconto?
È il cuore pulsante del romanzo. L’amore qui non è un sentimento romantico, ma una forza che muove tutto: è amore per la famiglia, per gli amici, per il proprio sogno, per la vita. Paolino attraversa il dolore più grande, ma viene salvato dall’amore degli altri - quello dei frati, degli amici, degli educatori - e dal suo stesso amore per il calcio. È questo sentimento a dargli un futuro, a spingerlo a restituire, quando diventa grande, ciò che ha ricevuto: ristruttura il convento, crea spazi per i ragazzi, investe nel bene comune. L’amore, in questo senso, è la forma più alta di riscatto sociale.
Il calcio di oggi, spesso dominato dal business, può ancora essere scuola di vita e solidarietà come nel vostro libro?
Assolutamente sì, se si torna alle sue radici. Il calcio vero non è solo quello dei contratti e dei procuratori, ma quello che si gioca nei campi di periferia, dove si impara a condividere, a rispettare l’avversario, a cadere e rialzarsi. Il calcio può ancora educare se resta un gioco di squadra, se diventa strumento di inclusione e non di esclusione. Paolino cresce proprio così: nonostante le tentazioni del successo, non dimentica mai chi lo ha aiutato, né il valore dell’amicizia e della lealtà. Anche oggi ci sono molti allenatori, educatori e ragazzi che vivono il calcio in questo modo, lontano dai riflettori ma vicino alla verità.
Se doveste riassumere il messaggio del romanzo in una sola frase, quale sarebbe?
Chi vive d’amore non si arrende mai. È l’amore, in tutte le sue forme, che permette di rialzarsi, di credere ancora, di trasformare un sogno in una possibilità reale. È la nostra dichiarazione d’affetto per la vita, per lo sport e per le persone che non smettono di mettersi in gioco.