Tra eleganza, ironia e memoria storica, il racconto di una giornata speciale trascorsa nello studio romano del Senatore, simbolo di mezzo secolo di politica italiana
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Ho intervistato cantanti, attori e personaggi dello showbiz italiano e anche qualche politico nazionale, oltre ai politici regionali e qualche politico di quartiere. Mi piace ricordare questa giornata passata con il Senatore Giulio Andreotti, nel suo studio al Senato.
Per me è stato un punto di arrivo e ne conservo un ricordo indelebile, forse perché avevo i pantaloni corti quando ho iniziato a sentire parlare di Giulio Andreotti, personaggio simbolo della Democrazia cristiana, cioè della forza politica che ha retto le sorti del Paese per quasi mezzo secolo.
Saranno certamente la storia e gli storici a giudicare quanto Andreotti sia stato importante per la storia italiana e mondiale del secolo scorso, ma la grande statura di uomo politico gli è stata sempre riconosciuta in tutto il mondo. Sicuramente, è stato uno dei nostri rappresentanti più noti e apprezzati all'estero per le sue riconosciute doti diplomatiche.
Quello che ricordo con stupore è il suo carisma, il suo linguaggio e la risposta pronta. La mia non è stata un’intervista politica ma ero lì per intervistarlo e consegnargli un premio.
Era il mese di settembre del 2004 in piena organizzazione della manifestazione “Gradinate in scena”, una kermesse molto importante della città di Cosenza. Come ogni anno io curavo la regia della manifestazione e mi occupavo delle interviste ai politici nel parterre, insieme alla conduzione di personaggi nazionali come Fabrizio Frizzi, Massimo Giletti, Milly Carlucci e altri. La direzione della manifestazione aveva già deciso da qualche anno di dedicare un premio alla politica, intitolato “Un violino per un politico”.
E per ogni edizione, un politico nazionale, un leader di partito, raggiungeva la città dei bruzi per ricevere il premio. Per quella edizione decidemmo di investire in quel ruolo, il Senatore Giulio Andreotti. Il quale era felice di ricevere il premio e anche di essere intervistato ma per la data dell’evento non era disponibile a recarsi a Cosenza, per impegni presi in precedenza. Allora ci chiese di fare una registrazione nel suo studio a Roma con la consegna del premio. Quella registrazione sarebbe poi andata sui ledwall della serata e naturalmente in tv. Naturalmente, senza pensarci più di tanto, decidemmo di raggiungerlo a Roma e realizzare l’intervista con la consegna del premio.
Andammo io, il patron della manifestazione Franco Totera e Arianna Lazzaro (showgirl), la quale doveva consegnargli il violino fisicamente. La troupe televisiva per le riprese ci aspettava già nella Capitale. Così arrivammo nel suo studio al Senato. Ci accolse con estrema disponibilità e ci mise subito a nostro agio, chiacchierammo per circa una mezz’ora prima dell’intervista, ci offrì un caffè con dei pasticcini e poi arrivò il momento fatidico dell’intervista.
Nel tempo trascorso nel suo studio prima dell’intervista, ero emozionato. Lo guardavo e mi catturò il suo carisma e cercavo di cogliere i dettagli di quella giornata. Pensavo al mito che nacque intorno alla sua persona, dovuto alla precocità della sua carriera politica ma anche ad alcuni dati oggettivi e notevoli: fu sette volte presidente del Consiglio, ventisette volte ministro e parlamentare in tutte le legislature della Repubblica dal 1948 fino alla sua morte, avvenuta il 6 maggio 2013.
Di esempi che contribuirono alla creazione di questo mito ce ne sono molti e spesso si fondano sulla personalità di Andreotti e alcune tessute sulle teorie del complotto, piuttosto che su vicende politiche vere e proprie. Già nel 1974 Oriana Fallaci scriveva di lui: «Il vero potere non ha bisogno di tracotanza, barba lunga, vocione che abbaia. Il vero potere ti strozza con nastri di seta, garbo, intelligenza. L’intelligenza, perbacco se ne aveva. Al punto di potersi permettere il lusso di non esibirla».
Caspita era proprio vero non aveva bisogno di esibire nulla. Pensavo e ripensavo alle domande che avevo preparato se fossero state all’altezza della situazione. - Dicevo tra me e me: “Mi risponderà con tranquillità e non mi dirà mai se le domande sono state all’altezza del suo personaggio”. - Avevo preparato delle domande che si rapportavano al contesto della manifestazione, in fondo la manifestazione che lo premiava era una manifestazione di moda e costume. Quindi la mia intervista doveva essere di costume, una sorta di rotocalco, a metà strada tra l’attualità e la storia dello spettacolo e della televisione che in fondo aveva attraversato tutta la sua vita. Anche lui, se vogliamo, era stato un personaggio della televisione. Mi tornavano alla mente le imitazioni di Alighiero Noschese e le parodie del Bagaglino ma soprattutto, le sue risposte argute e intelligenti, capaci di uscirsene da qualunque situazione gli capitasse.
Ed ecco che a un certo punto della conversazione, disse: “Allora? Siamo pronti per l’intervista? La facciamo in piedi o seduti?” – Io timidamente, dissi: “Presidente, forse è meglio che la facciamo in piedi, è più attinente al contenuto e soprattutto si adatta meglio alla messa in onda che ho previsto”.
Il Presidente Andreotti si alzò e venne verso di me con estrema gentilezza “Scelga lei il posto migliore”. - Io scelsi un angolo del suo studio e chiesi agli operatori di sistemare le luci in quella posizione. Dieci minuti dopo eravamo pronti per registrare, l’emozione saliva dentro di me, mi sentivo alle prime armi, anche se già avevo fatto di tutto e quindi intervistato politici e personaggi nazionali di ogni tipo e livello. Però lui era il Personaggio e per me era un punto di arrivo.
Provammo i microfoni, mi disposi alla sinistra dello schermo, quindi alla destra della telecamera come faccio di solito, chiesi ad Andreotti se avesse voluto scegliere il profilo, mi rispose che quello che avevo scelto per me andava bene anche per lui. Ed ecco il via della registrazione con il fatidico ciak della regia per mettere in sincrono le due telecamere.
D: “Presidente lei riesce ancora da appassionarsi alla televisione?”
R: “Si certo, ci sono alcune trasmissioni, come Porta a Porta che hanno una ripercussione enorme, nonostante vadano in onda alla sera tardi, alcune volte anche all’una di notte, però c’è ascolto, variano anche come temi ed ha più cassa di risonanza quella che le nostre sedute alla Camera o al Senato”.
D: “Presidente, invece del fascino della radio, lei quali ricordi conserva?”
R: “Ero ragazzo e ricordo alcune trasmissioni come ‘I tre moschettieri’, ’I concerti del lunedì’, Il Quartetto Cetra, e poi ‘ Tutto il calcio minuto per minuto ’, la trasmissione delle partite. Noi andavamo allo stadio e poi tornavamo a piedi verso Galleria Colonna per vedere il tabellone con i risultati delle partite. Sono state tante tappe di evoluzione, penso che nel futuro trasmetteranno dalla luna”.
D: “Plutarco, scrisse ‘Consigli ai politici’. Presidente tutto muta, oppure non è cambiato nulla?”
R: “L’essenziale è avere alcuni punti fermi, alcuni valori, quindi non solo legati ad alcune contingenze. Per il resto bisogna avere il senso evolutivo e prendere spunto da circostanze e accrescimenti di rapporti. Per esempio basti pensare cos’abbia voluto dire superare il nazionalismo e arrivare alla Comunità Europea. E’ una realtà che interessa moltissimo i giovani con i vari programmi Erasmus e i corsi incrociati di lingue e di cultura con la possibilità di andare anche a lavorare in altri Paesi, in una posizione paritaria, affinché gli altri possano venire da noi”.
D: “Presidente, lei è ancora democristiano?”
R: “Certamente! Ci sono nato e ci morrò. I partiti hanno i loro cicli. Io dico spesso che l’Italia aveva dei cicli ventennali. L’inizio del secolo scorso Giolitti per vent’anni dominò le scene. Il Fascismo è durato vent’anni, noi siamo durati quaranta. Già questo mi da una certa soddisfazione. L’essenziale è sempre trovare il compromesso giusto”.
D: “Voglio chiudere ricollegandomi al Premio ‘Un violino per un politico’. Cosa vuol dire, secondo Giulio Andreotti, essere tesi come le corde di un violino?”
R: “Nella tradizione romana avevamo un sonetto di Trilussa sul violino, il quale circolava clandestinamente, perché siamo nel periodo fascista. Io me lo ricordo a memoria: ‘Ogni tanto veniva in trattoria pe' sonà quer violino strappacore che quanno nun raschiava er Trovatore martirizzava la Cavalleria. Successe che una sera, un avventore, je disse: Basta, co' 'sta zinfonia! Perché ciai rotto l'anima! Va' via! Sempre una lagna! Brutto scocciatore! Ner sentì 'ste parole, er violinista, radica vera de baron fottuto, j'incominciò a sonà l'inno fascista. Allora l'avventore, rassegnato, arzò la mano in segno de saluto, ma sottovoce disse: M'hai fregato!’ “Grazie Presidente!”