Caro direttore, 

dopo anni trascorsi a lottare con le unghie per la mia professionalità, è giunto il momento in cui il limite è stato superato e il silenzio equivarrebbe a vile complicità. La verità è che l'implosione della mia intera esistenza ha raggiunto un’agonia tale da non poter più essere contenuta. Le scrivo ora perché la disperazione e il peso della mia condizione sono diventati una condanna insostenibile. Questa non è una richiesta di aiuto: è l'atto d'accusa estremo e necessario contro un sistema che, giorno dopo giorno, non solo distrugge, ma profana il capitale umano di questa terra. È indispensabile che Lei legga, Direttore, l'orrore che segue.

Le scrivo col fuoco nell'anima, Direttore, non solo per denunciare, ma per gridare l'afflizione di un cinquantunenne, laureato DAMS (oggi DiSu), che non è solo un testimone, ma l'evidenza vivente del fallimento più amaro di queste promesse.

Raffaello Bosco

La mia decisione di scriverLe non nasce da una sterile polemica. Dopo decenni di esperienza, ho raggiunto la conclusione che mi brucia dentro: il problema non è più la politica, ma l'intero sistema culturale. È un feudo chiuso, una piovra che ci sta soffocando, ed è questo che sono costretto a denunciare con furia.

La verità è che io sto sprofondando. A 51 anni, sono costretto a mendicare dignità e sopravvivo con i soli 750 € della pensione sociale di mia madre. Si fermi un attimo, La prego, a riflettere: è un macigno che annienta l'uomo e ruba ogni respiro. L'unico, misero, euro guadagnato onestamente, arriva d'estate, facendo il pet-sitter service.

E tutto questo, nonostante l'evidenza del mio valore! Ho collaborato con la testata "Calabria Ora" e, al Festival delle Invasioni di Antonello Antonante, ho compiuto l'impresa di portare qui due miti assoluti, monumenti della musica: Solomon Burke e Buddy Guy. Ho lavorato al fianco di una persona di spessore come Isabel Russinova.

Ma poi, brutalmente, le porte della speranza mi sono state sigillate in faccia. Sono stato estromesso per un mero capriccio, una palese ignominia: un veto inappellabile che non solo ha bloccato la mia partecipazione agli eventi della Città di Cosenza, ma ha osato impedire un mio possibile ingresso alla Film Commission per una presunta "poca esperienza".

Questo mi porta al cuore del mio sdegno: Le chiedo con la disperazione che logora l'anima: dove, in nome di Dio, in quale altro luogo in Italia un laureato DAMS dovrebbe 'fare esperienza' se la Film Commission – che è nata proprio per valorizzarci e formarci – è invece gestita da un'oligarchia culturale che lavora solo tra le sue mura e respinge con disprezzo chiunque osi presentarsi senza il giusto passaporto?

Questa casta ha profanato e dilaniato il Festival delle Invasioni di Cosenza, tradendone il concetto fondativo e riducendo un evento che dovrebbe incarnare lo scambio culturale ed etnico a meri concertini di comodo.

È un’ingiustizia che grida vendetta: non si può limitare la denuncia alla politica senza attaccare, con altrettanto furore, questa malsana gestione della cultura. Hanno dimenticato che il DAMS esiste. Ci hanno cancellati, condannandoci al nulla.

Mi dica Lei, Direttore: A 51 anni, con una laurea e questo pesante fardello di esperienze, si può davvero essere marchiati a vita e costretti a vivere dell'elemosina della pensione sociale di un genitore?

Questa non è una lettera per implorare un posto. È un ruggito, l'ultima richiesta di giustizia e di dignità negata. È l'accusa amara e definitiva di un uomo, Raffaello Bosco, che vede la propria professionalità non solo bloccata, ma profanata da un sistema che non vuole, o non può, morire.

Con lo sdegno e la stima di sempre.