Il confronto tra epoche lontane è uno dei luoghi privilegiati in cui l’arte contemporanea misura il proprio linguaggio e ne verifica la capacità di dialogare con ciò che precede il nostro presente. Non è soltanto un esercizio formale: è un tentativo di comprendere come le immagini, le forme e i simboli migrino attraverso i secoli, assumendo nuovi significati pur mantenendo tracce della loro origine. Quando questo incontro si realizza all’interno di uno spazio che custodisce le testimonianze di una civiltà antica, la relazione tra passato e presente si carica di ulteriori stratificazioni. La materia del tempo, conservata nei reperti, diventa un interlocutore silenzioso ma determinante, e l’osservatore è chiamato a muoversi tra suggestioni archeologiche e interpretazioni artistiche contemporanee, trovando in tale dialogo una chiave di lettura più ampia e articolata.

In questa cornice si colloca l’apertura, al Museo Archeologico Nazionale di Vibo Valentia, della mostra Archetypos, dedicata alle opere della pittrice siciliana Giacoma Venuti, conosciuta come “Giko”. L’allestimento affianca i vasi dipinti dall’artista alle testimonianze materiali della Magna Grecia conservate nelle sale del museo, creando un percorso che si sviluppa come un confronto a più voci. Le tele, animate da forme essenziali e cromie misurate, si inseriscono quasi in punta di piedi tra i manufatti antichi, ma al tempo stesso modificano la percezione dell’ambiente, suggerendo relazioni inaspettate tra oggetti e tempi differenti. Ne deriva un itinerario che accosta materiali e linguaggi appartenenti a universi temporali distinti, invitando il visitatore a interrogare le affinità e le divergenze che emergono dall’incontro tra l’antico e il contemporaneo.

Nel presentare il proprio lavoro, l’artista ha richiamato l’attenzione sull’identità delle figure che popolano le sue tele: «I vasi che dipingo evocano la vita e le differenze che la attraversano. Ogni figura possiede un’energia propria, che si espande verso l’interno o verso l’esterno, e per questo ciascuna è unica. Il loro accostamento a questi reperti, che rappresentano le nostre origini, non è casuale: le mie opere traggono infatti alimento da quel medesimo radicamento». Le sue parole restituiscono l’intenzione di collocare l’opera pittorica non come semplice reinterpretazione del passato, ma come rilettura emotiva e concettuale delle radici da cui essa scaturisce. In questo senso, la mostra non propone una replica iconografica, bensì un processo di ‘’continuità simbolica’’.

Allestita all’interno del Castello Normanno-Svevo, la mostra resterà aperta al pubblico fino al 28 febbraio. L’inaugurazione ha visto la presenza di studenti accompagnati dai loro docenti, che hanno potuto osservare da vicino sia i lavori di Giko sia i reperti archeologici esposti, partecipando così a un’esperienza formativa che mette in relazione creatività contemporanea e memoria storica. La visita ha offerto loro la possibilità di cogliere come il museo possa trasformarsi in un luogo di confronto tra diverse modalità di rappresentazione della realtà.

Questa proposta espositiva amplia l’offerta culturale del territorio e invita a percorrere le sale del museo con uno sguardo diverso. Attraverso un filo conduttore, la mostra ricompone linguaggi e materiali separati dal tempo, riunendoli in un’unica visione narrativa. L’insieme suggerisce che il passato non è una dimensione conclusa, ma un elemento vivo, capace di riemergere nell’arte contemporanea come traccia, eco o intuizione, e di dialogare con chi osserva, al di là delle distanze cronologiche.

A Vibo Valentia la mostra Archetypos, aperta al pubblico fino al 28 febbraio al Museo archeologico statale Vito Capialbi.