Grazie a microtomografia e microscopia elettronica, un’équipe interdisciplinare ha svelato i processi produttivi e il significato sociale di due rarissimi pendagli dell’VIII secolo a.C., rivelando il ruolo centrale delle donne aristocratiche nei rituali e una rete di scambi che univa il Sud Italia all’Europa già prima dell’arrivo dei Greci
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Una ricerca condotta da un’équipe interdisciplinare di archeologi e fisici sta riscrivendo un capitolo della storia della Calabria pre-greca. Per la prima volta, grazie a tecnologie diagnostiche avanzate, è stato possibile ampliare le conoscenze sui processi produttivi utilizzati per realizzare due reperti bronzei dell’VIII secolo a.C. raffiguranti coppie antropomorfe prodotte dalle comunità enotrie della Calabria ionica settentrionale e, al tempo stesso, ottenere ulteriori preziosi indizi sulla struttura sociale e religiosa di una cultura che non ha lasciato testimonianze scritte.
I manufatti, rinvenuti durante le ricognizioni topografiche svolte nella Sila Greca dagli archeologi dell’Università della Calabria in collaborazione con l’allora Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria, provengono dalla necropoli enotria di Bucita di Rossano e dall’area archeologica di Muraglie di Pietrapaola. Essi, raffiguranti una coppia uomo-donna abbracciati, facevano generalmente parte delle parures che caratterizzavano alcuni corredi funerari riferibili a donne di rango elevato.
Per indagarne struttura e composizione sono state applicate metodologie non distruttive di ultima generazione. La microtomografia computerizzata a raggi X (X-ray μCT), realizzata presso l’infrastruttura di ricerca STAR dell’Università della Calabria, ha permesso di eseguire una sorta di “dissezione virtuale”, svelandone la struttura interna tridimensionale senza intaccare la superficie. La microscopia elettronica a scansione (SEM-EDX) ha contribuito a rilevare la composizione delle leghe.
Le analisi hanno messo in luce differenze sostanziali.
Il reperto di Rossano si è rivelato composto prevalentemente da rame con una piccola percentuale di stagno, che lo rendeva adatto a lavorazioni meccaniche complesse dopo la fusione. Le ricostruzioni 3D hanno messo in evidenza alcune parti anatomiche, come ginocchia e altri dettagli, realizzate con metodo additivo, ossia con l’aggiunta di materiale, e poi modellate con precisione, un approccio sorprendentemente avanzato per l’epoca. Le stesse analisi hanno permesso di rilevare, confermando l’ipotesi già avanzata attraverso la diagnostica umanistica, due piccoli fori circolari di appena 2 mm di diametro sui colli delle figure, nascosti da sedimenti e incrostazioni, che permettevano la sospensione del pendaglio, una funzione pratica rimasta fino ad oggi invisibile.
Il reperto di Muraglie racconta una storia opposta. Realizzato tramite fusione in stampo bivalve, mostra difetti di colata e una scarsa o nulla lavorazione post-fusione. La lega, ricca di stagno, fondeva a temperature più basse, consentendo una produzione rapida ma al prezzo di una maggiore fragilità che ne escludeva ogni rifinitura o ritocco meccanico.
Queste differenze tecniche riflettono una struttura sociale complessa. Il reperto di Rossano, con la sua lavorazione elaborata e il profondo significato simbolico, era probabilmente un oggetto destinato a quelle poche donne dell’aristocrazia enotria che gestivano, all’interno della comunità di appartenenza, l’insieme dei rituali e delle attività religiose; mentre quello di Muraglie, frutto di una produzione in serie, era destinato a fasce più ampie della popolazione ma pur sempre di rango elevato. Nonostante tali distinzioni, entrambi condividono la stessa simbologia: la donna, all’interno della coppia che incarna un’unione ierogamica, è sempre posta sulla destra, a sottolineare la rilevanza sociale e il ruolo preminente nelle pratiche cultuali.
Pendagli simili, sebbene i centri di produzione fossero probabilmente dislocati nella Sibaritide e nella Crotoniatide, sono stati rinvenuti soprattutto in Calabria e nella Sicilia orientale, delineando così l’esistenza di una vera e propria “koinè” culturale enotrio-sicula. Altri esemplari provengono dalla Basilicata, dalla Campania, dal Veneto e persino dalla Boemia. Questa diffusione potrebbe testimoniare una rete di scambi di beni e idee lungo la “via dell’ambra” che colloca il Sud Italia della prima età del Ferro in un contesto dinamico e interconnesso ben prima della colonizzazione greca.
Lo studio è stato pubblicato sul Journal of Cultural Heritage ed è frutto della collaborazione tra l’Università della Calabria (Dipartimento di Fisica, STAR Lab IR, Dipartimento di Culture, Educazione e Società e ArToMed-Lab) e il CNR – Istituto di Nanotecnologia di Cosenza. È stato realizzato con il sostegno del Ministero dell’Università e della Ricerca tramite il progetto STAR 2 – PIR01_00008.