Altri focolai

La guerra tra Israele e Hamas rischia di infiammare tutto il Medio Oriente: attacchi dal Libano e dallo Yemen

L’odio fomentato dall’Iran con il silenzio dell’Europa accende focolai in tutta la regione, la cui stabilizzazione non è mai andata giù a chi vuole la “guerra santa”

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di Giusy Criscuolo
20 ottobre 2023
19:02
Lancio di razzi da Gaza su Israele (Foto Ansa)
Lancio di razzi da Gaza su Israele (Foto Ansa)

Una questione storica troppo controversa che parte da molto più lontano del 1947/48 e che ha sempre surriscaldato gli animi del Maghreb e del Mashreq. Ma quello che vediamo oggi non era mai accaduto prima, non come lo stiamo osservando. Un po’ perché la tecnologia ha reso gli armamenti più potenti e precisi, un po’ perché tanta rabbia e tanto odio non erano vomitati da decenni e decenni. I giorni della rabbia, i giorni dell’odio fomentati da realtà terroristiche in contrasto religioso tra loro ma unite nel creare caos e guerre.

Purtroppo la stabilizzazione del Medio Oriente non è mai andata giù a certe realtà come l’Iran, Hezbollah, Hamas, al-Qaeda, Da’ash (Isis) e se questo accadesse, per loro non ci sarebbe più giustificazione per la promozione delle loro “guerre sante”, per il “Jihad terreno”, così come se ciò accadesse non potrebbero più mettere bocca sulle questioni di altri Paesi, relegandosi nel loro mondo in silenzio.


Ma in realtà dove la povertà fa da padrona, dove chi ha il potere detta legge e distribuisce denaro attraverso la Zakat (elemosina, una delle 5 pratiche religiose più importanti dell’Islam che porta alla “purificazione” della propria ricchezza) si lava la coscienza nei confronti dei più deboli e dei poveri elargendo “elemosina” in cambio di affiliazione. Sostituendosi allo Stato e (con fare mafioso) tenendo sotto scacco il popolo con la promessa di libertà e rivalsa attraverso una “Guerra Santa”. Il potere può essere mantenuto solo attraverso l’instabilità e “l’ignoranza”, relegando nell’oscurantismo chi non può, per cause terze, guardare altrove.

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Israele se volesse passare dalla parte della ragione dovrebbe smettere di occupare territorio non suo con incursioni notturne e serali, distruggendo le case dei palestinesi e sfollandoli dalle loro terre continuamente. Zone che poi andranno in mano ai “coloni” che nulla hanno a che fare con gli abitanti dei Kibbutz. Questo pone Israele dalla parte del torto, perché è indubbio che tutti i popoli hanno il diritto di difendersi se attaccati, ma è anche vero che tutti i popoli hanno bisogno di essere riconosciuti come tali e hanno la necessità di identificarsi con un territorio. La soluzione di due Stati come più volte chiesto nei decenni trascorsi, è e sarebbe stata la soluzione più giusta. Il popolo palestinese ha la necessità e il diritto di essere riconosciuto come tale. Ma è pur vero che una nazione come Israele, praticamente circondata anche in periodo di “quiete” da Paesi “ostili” non può abbassare la guardia e questo ce lo stanno dimostrando i recentissimi accadimenti.

Il cancro del popolo Palestinese è Hamas e finché questo cancro non verrà estirpato e curato non sarà possibile abbassare la guardia. L’unico ente preposto a rappresentare la Palestina e riconosciuto da Israele come tale è l’OLP (Munazzamat al-Tahrir al-Filastiniyya), rappresentato dal partito politico moderato di Fatah o meglio al-Fath. Una realtà per cui Yasser Arafat si è speso tantissimo e che ha guidato dal 1969 al 2004 e la cui eredità è stata ceduta all’attuale presidente palestinese Mahmud Abbas conosciuto ai più come Abu Mazen.

I fronti si infuocano

Così la rabbia e l’odio fomentati dalla mano dell’Iran, che oltre a fare carne da macello dei suoi giovani in terra natia con il silenzio dei media e dell’Europa e oltre a promuovere come partner la guerra tra Russia e Ucraina, accendono focolai in tutto il Medio Oriente.

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Dal Libano Hezbollah infuoca gli animi e inizia ad attaccare Israele sul fronte nord, la Cisgiordania con le marce della rabbia e le rivolte interne desta preoccupazione e come se non bastasse le minacce dello Yemen lanciate dagli Houti rischiano di diventare concrete. Difatti ieri dallo Yemen sono partiti dei missili da crociera, di cui uno intercettato dall’Arabia Saudita e tre da una portaerei USA. Tutti sono stati neutralizzati. I missili sarebbero stati lanciati dalle milizie appoggiate dall'Iran nello Yemen e che «avrebbero potuto prendere di mira Israele» ha riferito il Pentagono.

La USS Carney, un cacciatorpediniere della Marina USA nel Mar Rosso settentrionale, ha intercettato tre missili da crociera da attacco terrestre e diversi droni che sarebbero stati lanciati nella serata di ieri dalle forze Houthi nello Yemen. Un affronto importante, che accade nel momento in cui sono in atto i lavori per ripristinare il valico di Rafah dall’Egitto a Gaza, che consentirebbe l’ingresso degli aiuti umanitari attesi ormai da giorni.

È di questa mattina un video che ritrae una gru mentre rimuoveva le barriere sul lato egiziano senza tralasciare la sistemazione del valico al confine con Gaza e dove i recenti bombardamenti israeliani hanno intralciato il camminamento. Il portavoce militare israeliano, il tenente colonnello Richard Hecht, avrebbe invece detto in un briefing che «lo status degli aiuti ammessi a Gaza attraverso il valico di Rafah rimane da determinare».

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E mentre la tensione sale per l’allargamento di un conflitto, Israele cerca di rassicurare, affermando di essere preparato a una minaccia proveniente dallo Yemen dopo il lancio dei missili da crociera. Lo stesso portavoce delle forze di difesa israeliane (IDF), il contrammiraglio Daniel Hagari, ha affermato che l'incidente ha messo in evidenza le capacità di difesa degli Stati Uniti, sottolineando lo stretto rapporto che Israele ha con il comando centrale USA: «Israele ha alcune delle migliori difese aeree del mondo ed è preparato a minacce come queste».

L’attesa degli aiuti umanitari

Il Segretario delle Nazioni Unite Antonio Guterres spinge per far arrivare gli aiuti a Gaza, ma a causa del ripristino del valico di Rafah da entrambe le parti il processo di apertura risulta più lento di quanto immaginato. Guterres sarebbe infatti arrivato nel Sinai per seguire l’arrivo degli aiuti umanitari, ma a causa dei rallentamenti causati dai blocchi dal lato egiziano e dal dissesto stradale su quello di Gaza (causato dai raid aerei) non è chiaro quando inizierà la consegna dei beni di prima necessità.

Gli Stati Uniti hanno affermato che i dettagli di un accordo per inviare aiuti attraverso il valico di Rafah tra il Sinai e Gaza sono ancora in fase di elaborazione, poiché per UN non è possibile che ad essere autorizzati siano solo 20 camion contenenti aiuti umanitari, ma l’ok deve arrivare per tutti i camion predisposti al sostegno. I funzionari delle Nazioni Unite affermano che qualsiasi consegna di aiuti deve essere effettuata su larga scala e in modo sostenuto. Difatti prima dell'attuale conflitto, a Gaza, arrivavano circa 450 camion di aiuti umanitari.

Giornalista
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