L’agroalimentare calabrese cresce, ma ha un potenziale ancora enorme da sprigionare. Ne è stata un’ulteriore prova l’edizione di Tuttofood Milano che si sta per concludere. Oltre cento gli espositori che hanno partecipato alla collettiva proposta dalla Regione Calabria e da Arsac.

Circa 40 le aziende, in genere più grandi e consolidate, che hanno utilizzato propri spazi espositivi nei vari padiglioni specializzati (pasta e prodotti da forno, salumi e carni, formaggi, conserve…). Che cosa occorre per conquistare spazi più importanti di mercato tali da far crescere pil, ricavi e posti di lavoro? Le istituzioni stanno supportando un’azione progressiva di crescita del “brand” Calabria.

Alla Fiera di Rho è giunto personalmente anche il presidente Roberto Occhiuto, mentre l’assessore all’Agricoltura Gianluca Gallo ha presidiato l’area Calabria in maniera costante. Da Rimini, dove era in corso la concomitante manifestazione Macfrut, dedicata all’ortofrutta, è giunta anche Fulvia Caligiuri, direttore generale dell’Arsac (a proposito, quando penseranno Rimini e Milano di esprimersi in date diverse, favorendo così la fruizione di entrambe le fiere da parte di esperti del food and beverage?).

La stessa Arsac ha visto i suoi “uomini-macchina”, come nel caso di Michelangelo Bruno Bossio, seguire con scrupolo l’evoluzione dei lavori. E così dirigenti e funzionari del Dipartimento Agricoltura, a partire da direttore generale Giuseppe Iiritano, e dal dirigente Francesco Chiellino.

Lo sforzo politico che si sta compiendo merita due sottolineature. Da un lato un’azione volta a proporre al mondo un sistema il più possibile unitario, come si era già visto il mese scorso al Vinitaly Verona. Dall’altro, con approccio che ha rilevanza strategica, la progressiva valorizzazione delle radici storico-culturali e identitarie quale leva formidabile di arricchimento del racconto delle numerose filiere.

Si tratti di vino o di prodotti a base di cereali, di olio extravergine di oliva e di formaggi o salumi, di conserve di ortaggi o di dolciaria, la distintività assoluta che la storia, le tradizioni e l’identità di una terra antichissima “regalano” alle tante specialità prodotte, assume le invidiabili connotazioni dell’unicità non imitabile, delle sensazioni non delocalizzabili, dei primati non scalabili.

Nel mondo globale non è sufficiente parlare di qualità, pre-condizione indispensabile per immaginare di ottenere successo, ma occorre essere originali e riconoscibili, collegando al massimo di quanto sia possibile territori di provenienza, vicende umane, paesaggi, natura, culture e filiere corte. Lavorando su questo binario virtuoso si offre una sponda fondamentale anche al turismo sempre più esperienziale, che è fortemente attratto dall’enogastronomia e della conoscenza diretta dei gioielli dell’agroalimentare. Su questo fronte occorre riconoscere al presidente Occhiuto e all’assessore Gallo di aver impresso una spinta sempre più percepita e apprezzata anche dagli stessi operatori.

Che cosa si può fare di più? Aggredendo le ataviche ritrosie alla collaborazione, e quindi allontanandosi in via definitiva da fenomeni di individualismo che hanno segnato pesantemente la Calabria sul fronte economico-sociale, occorre disporsi positivamente alla costruzione di reti e di sinergie. Può sembrare un luogo comune ma non lo è.

Entrano in gioco, quindi, anche i Consorzi di tutela, sui quali occorrerà avviare un’analisi attenta, fra esempi di buon funzionamento e casi di clamorosa insufficienza. Ma anche al di là della fase istituzionale, anche da parte dei singoli produttori, che in genere hanno ottenuto risultati degni di nota anche a costo di sacrifici duraturi, necessita la volontà di metabolizzare percorsi più solidi e moderni. Un esempio su tutti: la comunicazione integrata professionale che non può essere immaginata come marginale, episodica, occasionale, residuale, ma al contrario è uno dei pilastri sui quali lavorare sodo. Tranne rari casi, l’agroalimentare calabrese non dispone di prodotti di massa distribuiti ovunque, ma piuttosto di tante nicchie, anche preziose, che hanno bisogno di essere inquadrate come tali dai consumatori, dal sistema della ristorazione ed anche dalla distribuzione organizzata o da qualsivoglia rete di vendita.

Le cosiddette “eccellenze” non possono costare quanto i prodotti industriali, e non è raro che siano a tutti gli effetti prodotti di lusso. Cosa sono del resto il patanegra di Spagna, gli oli evo di pregio, i salmoni di alta gamma, il tonno rosso, le etichette di vino famose nei cinque continenti, i tartufi più profumati, le carni di allevamenti selezionatissimi, i formaggi più rinomati se non prodotti di lusso? Ecco allora che serve lavorare costantemente sul racconto, sull’immagine, sulla costruzione di veri e propri miti. Nemico assoluto, in quest’ambito, è l’improvvisazione, nonché il fai-da-te se non in casi e condizioni che lo consentano, oppure l’idea che sia sufficiente partecipare a qualche fiera per ottenere l’adeguata visibilità. Non è così. La comunicazione integrata è un pezzo delle filiere agroalimentari che partono dalla terra e dalle materie prime, passano attraverso la trasformazione e il confezionamento, arrivano al packaging e, infine, non possono fare a meno di una promozione studiata e mirata che non ha nulla a che vedere con la cosiddetta pubblicità.

Tuttofood Milano è stata ricca di esaltazione della tradizione, ma anche di innovazione, con tratti di genialità mediterranea e calabra. In futuro si potrà puntare sui singoli comparti, rendendoli omogenei nella proposta, sulla più netta distinzione fra protagonisti di filiere autentiche locali e assemblatori, sulla prosecuzione strutturata e organica del lavoro a livello nazionale e internazionale, a seconda delle diverse esigenze dei produttori e delle singole specialità che hanno bisogno di maggiore spinta.