Il tax freedom day segna il giorno simbolico in cui smettiamo di lavorare per il fisco e iniziamo per noi: nel 2025 è caduto il 5 giugno, dopo più di 5 mesi passati a pagare balzelli, contributi e imposte. Per gli evasori (ovviamente) è un giorno come un altro
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Quello che ci apprestiamo a trascorrere è il primo fine settimana del 2025 liberi dalle tasse. Infatti, secondo l'annuale elaborazione compiuta dall'Ufficio studi della Cgia, ieri è scoccato, ovviamente in linea puramente teorica, il giorno di liberazione fiscale o, come lo chiamano negli Stati Uniti, il tax freedom day. In altre parole, dopo ben 156 giorni dall'inizio di quest'anno, sabati e domeniche compresi, il contribuente medio ha terminato di lavorare per pagare l'armamentario fiscale italiano che, in particolare, è costituito dall'Irpef, dall'Ires, dall'Irap, dall'Iva, dalle addizionali, dai contributi previdenziali, dalle tasse locali, etc. Versamenti che sono necessari per far funzionare la macchina pubblica: per consentirci, ad esempio, di essere curati da una struttura ospedaliera quando ci ammaliamo, di andare a scuola/università durante l'età giovanile, di disporre ogni giorno di trasporti pubblici rapidi ed efficienti e di vivere serenamente perché la sicurezza personale e delle nostre famiglie è garantita dalla presenza delle forze dell'ordine. Insomma, dopo oltre cinque mesi in cui la nostra attività lavorativa è servita per onorare le richieste del fisco, da ieri e sino al prossimo 31 dicembre ciascun italiano eserciterà la propria professione per vivere e per migliorare la propria condizione economica. Un puro esercizio di scuola, tiene a precisare la CGIA, che però ci consente di misurare in maniera del tutto originale il peso fiscale che grava sugli italiani.
Meno tasse con Berlusconi, al top con Monti/Letta
Se analizziamo l'andamento della pressione fiscale registrato negli ultimi 30 anni, il meno "soffocante" fu il 2005. Con Silvio Berlusconi alla guida dell'esecutivo, la pressione fiscale in Italia scese al 38,9 per cento del Pil, 3,8 punti in meno della soglia prevista per quest'anno. Diversamente, il picco massimo l'abbiamo toccato nel 2013, quando con il governo del Prof. Mario Monti che, però, dalla fine di aprile fu rimpiazzato da Enrico Letta, il carico fiscale complessivo sul Pil toccò il 43,4 per cento.
La pressione fiscale non scende
Nel Documento di Economia e Finanza del 2025, si stima una pressione fiscale per l'anno in corso del 42,7 per cento; un livello in lieve aumento di 0,1 punti percentuali rispetto al dato del 2024. Tuttavia, è necessaria una puntualizzazione: va ricordato che la Legge di Bilancio 2025 ha sostituito la decontribuzione a favore dei lavoratori dipendenti con una analoga misura che combina gli sconti Irpef con il "bonus" a favore delle maestranze a basso reddito. Mentre la decontribuzione si traduceva in minori entrate fiscali-contributive, il "bonus" (che vale circa 0,2 punti percentuali di Pil) viene contabilizzato come maggiore spesa e quindi sfugge alla stima della pressione fiscale. Pertanto, se tenessimo conto di questo aspetto, nel 2025 la pressione fiscale sarebbe destinata a diminuire, sebbene di poco, attestandosi al 42,5 per cento. In questo caso il giorno di liberazione fiscale verrebbe anticipato di un giorno, di conseguenza i giorni di lavoro necessari per pagare le tasse sarebbero 155.
Per chi evade il tax freedom day è un giorno come un altro
Tra gli italiani che sono completamente disinteressati alle scadenze tributarie e contributive ci sono sicuramente gli evasori. Per loro il giorno di liberazione fiscale non rappresenta alcunché, visto che durante l'anno non pagano alcuna tassa all'erario. Secondo le ultime stime dell'Istat riferite al 2022, sono quasi 2,5 milioni le persone fisiche presenti in Italia che sono occupate irregolarmente come dipendenti o abusivi. Sono uomini e donne che lavorano completamente in nero o quasi; quando operano in qualità di subordinati non sono sottoposti ad alcun contratto nazionale di lavoro o, se lavorano in proprio, in possesso di una partita Iva. In valore assoluto il numero più elevato è concentrato in Lombardia con 379.600 unità. Seguono i 319.400 residenti nel Lazio e i 270.100 abitanti della Campania. Se, invece, calcoliamo il tasso di irregolarità, dato dal rapporto tra il numero di occupati irregolari e il totale degli occupati di ciascuna regione, in Calabria registriamo il tasso più elevato pari al 17 per cento. Seguono la Campania con il 14,2, la Sicilia con il 13,7 e la Puglia con il 12,6. La media italiana è del 9,7 per cento.
In Ue siamo tra i più tartassati
Il giorno di liberazione fiscale non costituisce un principio assoluto, ma un esercizio teorico che dimostra empiricamente, se ancora ce ne fosse bisogno, quanto sia eccessivo il carico fiscale che grava sugli italiani. Una specificità che emerge in misura altrettanto evidente anche quando confrontiamo la nostra pressione fiscale con quella dei paesi UE. Nel 2024 , infatti, la pressione fiscale in Danimarca era al 45,4 per cento del Pil, in Francia al 45,2, in Belgio al 45,1, all'Austria il 44,8 e in Lussemburgo al 43. L'Italia si è posizionata al sesto posto tra tutti i 27 paesi dell'Unione Europea con un tasso del 42,6 per cento del Pil. Se da noi, come quest'anno, nel 2024 sono stati necessari 156 giorni lavorativi per pagare tutte le imposte, le tasse e i contributi, in Danimarca hanno lavorato per il fisco 166 giorni, in Francia e in Belgio 165, in Austria 164 e in Lussemburgo 157. La media UE è stata di 148 giorni (-8 rispetto al dato Italia), mentre in Germania è stata di 149 (- 7 giorni rispetto a noi) e in Spagna di 136 giorni (-20 giorni).