Ferragosto, ma non per tutti. Specie per chi non sa, se al rientro dalle ferie o dalla cassa integrazione, troverà ancora in piedi la propria azienda. Le piccole società con pochi dipendenti non ricorrono agli strumenti di mediazione attivati dallo Stato e sono maggiormente soggette alle chiusure repentine: dal 2002 ad oggi il numero di imprese manifatturiere è diminuito del 40%, ossia di 225mila unità.

L’industria italiana è in crisi. Nei primi sei mesi del 2025 il calo di produzione e di vendite ha interessato principalmente la fabbricazione di mezzi di trasporto (-8,6%); tessile, abbigliamento e pelletteria (-8,1%); coke e prodotti petroliferi raffinati (- 3,6%); macchinari e attrezzature (-2,7%); gomma e materie plastiche (-2,3%); attività manifatturiere (-2,1%); prodotti chimici (1,5%); metallurgia e prodotti in metallo (-1,5%); apparecchiature elettriche (-1,3). Se le piccole aziende scompaiono nel nulla, le medie e grandi imprese, con forza lavoro numericamente maggiore e più organizzata dal punto di vista sindacale, fanno ricorso ai tavoli di crisi al ministero.

Oggi il futuro di 85mila lavoratori italiani è legato ai risultati delle negoziazioni in corso. Trattative spesso lungo e difficoltose, che mirano a scongiurare le chiusure e i licenziamenti e a definire piani rilancio o di ristrutturazione per le realtà produttive in crisi. Le misure tampone dello Stato costano miliardi di euro: la principale è la cassa integrazione.

Trecentomila lavoratori del settore industriale sono in cassa integrazione a zero ore

L’industria rappresentata un quinto dell’occupazione italiana ma la produzione è in calo tendenziale da 27 mesi consecutivi. Trecentomila lavoratori del settore sono in cassa integrazione a zero ore. Al ministero delle Imprese e del made in Italy sono aperti 67 tavoli di crisi, 37 sono attivi e 30 sono di monitoraggio. Quasi la metà riguardano aziende del settore metalmeccanico.

Nell’ultimo anno i settori più colpiti da crisi aziendali sono elettronica, elettrodomestici e siderurgia. La vertenza occupazionale al momento più complessa ed articolata riguarda l’ex-Ilva di Taranto la più grande industria siderurgica del Paese che ha impianti metallurgici dislocati in molte città italiane. I dipendenti sono 15mila, un terzo dei quali in cassa integrazione. Il settore siderurgico è strategico e nel resto del mondo si tengono stretti i best player. L’ex-Ilva era il quinto produttore europeo ora è sprofondata in una crisi di difficile soluzione.

Nei primi sei mesi del 2025 il calo di produzione e di vendite ha interessato principalmente la fabbricazione di mezzi di trasporto, tessile, abbigliamento e pelletteria

Nell’elenco dei tavoli di crisi attivi al ministero delle Imprese ci sono nomi del calibro di Almaviva Contact, Beko Europe BV (ex Whirlpool Emea), Natuzzi, Jabil Circuit Italia, JSW Steel Italy Piombino (ex Lucchini), Lear Corporation Italia, Meta System, Conbipel, Riello, Sofinter e Telco-Tsd. Le vertenze interessano 45mila lavoratori. Il monitoraggio, per altri 40mila lavoratori, riguarda aziende del calibro di Alitalia, Menarini, Marelli (ex controllata Fiat), Electrolux Italia, Coin, Giano (gruppo Fedrigoni), Italtel e Piaggio Aero Industries.

C’è anche la calabrese Abramo Customer Care con i suoi help desk che si occupano di assistenza commerciale e tecnica. Nel 2021 aveva 3.500 dipendenti. La ristrutturazione aziendale ha portato il numero a 700. Oggi tutti in cassa integrazione. Per Marelli e Piaggio era stato chiesto al Governo di intervenire con il “golden power”, strumento normativo che consente di intervenire nelle operazioni societarie che riguardano settori strategici per la sicurezza e l’interesse nazionale.