C’è un’Italia fotografata dai dati e un’altra raccontata dalla politica. L’intervento del governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, in occasione delle Considerazioni finali del 30 maggio, ha tracciato un quadro economico complesso, fatto di segnali di rischio, debolezze strutturali e prospettive incerte. Dal fronte opposto, le reazioni della presidente del Consiglio Giorgia Meloni e del vicepremier Matteo Salvini sembrano delineare un altro Paese, dove i dazi sono un’opportunità, i salari crescono e il debito è colpa di chi c’era prima.

Due narrazioni che faticano a incontrarsi, ma che definiscono oggi lo scontro politico-economico in Italia.

Panetta: «A rischio la crescita, salari reali ancora sotto i livelli del 2000»

Nelle sue Considerazioni finali, Panetta non ha usato giri di parole: l’Italia, come gran parte dell’Europa, si trova di fronte a una ripresa fragile, minacciata dalle tensioni commerciali internazionali e da una politica economica interna poco efficace nel rilanciare gli investimenti. Il riferimento ai dazi — rilanciati con forza da Donald Trump negli Usa e ora riconsiderati in Europa — è netto: «Con i dazi si mettono a rischio le catene del valore, e quindi la crescita. Proteggere sì, ma senza isolarsi».

Sulla questione dei salari, il governatore ha espresso preoccupazione: «I salari reali sono ancora inferiori rispetto a quelli del 2000. Questo limita i consumi e la capacità di risparmio delle famiglie».

Una fotografia impietosa che contrasta con l’ottimismo dell’esecutivo.

Infine, il debito pubblico resta uno dei nodi centrali: «Il livello è molto elevato e non sostenibile nel lungo periodo se non accompagnato da una crescita robusta e stabile».

Meloni: «Non è una catastrofe». Salvini: «I dazi? Un’opportunità per le nostre imprese»

La risposta del governo non si è fatta attendere. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha minimizzato l’allarme: «I dazi non sono una catastrofe. Proteggere le nostre filiere strategiche è giusto».

Ma è Salvini ad andare oltre: «I dazi sono un’opportunità di crescita per le imprese italiane. Basta concorrenza sleale dalla Cina».

Sul fronte dei salari, Meloni ha rivendicato i risultati del suo governo: «Crescono i salari reali, le famiglie stanno recuperando potere d’acquisto». Tuttavia, ha ammesso un calo del 10% accumulato negli anni precedenti, dando la colpa al «decennio perduto» e alle politiche dei governi passati.

E sul debito? La premier si difende con i numeri alla mano - ma anche con una certa disinvoltura comunicativa: «Ho fatto solo 271 miliardi di debiti in 27 mesi, pari a 10 miliardi al mese. Il grosso del debito l’ha fatto Conte».
Come se l’entità del deficit fosse una sfida tra record personali, più che un tema di sostenibilità per il futuro delle generazioni.

Realtà economica e narrazione politica

Ma cosa dicono i numeri? Secondo l’Istat, nel 2024 i salari nominali sono saliti, ma l’inflazione ha eroso gran parte dei guadagni reali. La perdita di potere d’acquisto tra il 2021 e il 2023 è stata del 10%, in linea con quanto indicato da Meloni, ma il recupero nel 2024 è ancora parziale e insufficiente per parlare di inversione di tendenza.

Il debito pubblico italiano si attesta oggi intorno al 140% del Pil, uno dei livelli più alti in Europa, secondo solo alla Grecia. E nonostante le rassicurazioni del governo, la spesa corrente resta elevata, mentre gli investimenti pubblici restano deboli. I fondi del Pnrr sono utilizzati con lentezza, e la crescita potenziale del Paese resta inchiodata all’1% annuo.

Quanto ai dazi, l’Italia — paese esportatore e manifatturiero — rischia più di altri una guerra commerciale globale. La Commissione UE sta valutando misure contro l’import cinese, soprattutto nei settori del green e dell’automotive, ma gli effetti a catena sulle nostre PMI potrebbero essere gravi. Lo stesso Confindustria ha chiesto «prudenza» e «coerenza con le regole del mercato europeo».

Quando la propaganda supera la realtà

Nel confronto tra Panetta e Meloni non c’è solo un’opposizione di idee. C’è uno scarto crescente tra analisi tecnica e racconto politico, tra numeri e slogan, tra la realtà e la sua rappresentazione. L’Italia è davvero un paese in ripresa stabile? I salari stanno realmente salendo in termini reali? Il debito è davvero sotto controllo? I dazi aiutano o danneggiano la nostra economia?

Confondere l’opinione pubblica con cifre vaghe, slogan di effetto e accuse ai governi precedenti non aiuta a risolvere i problemi concreti. Il costo della vita continua a salire, il carrello della spesa pesa sempre di più sulle famiglie, il taglio delle accise promesso in campagna elettorale non si è mai concretizzato, e le cosiddette “tasse di Stato” restano una delle principali voci di uscita per cittadini e imprese.

In questo contesto, l’intervento del governatore Panetta rappresenta una voce di trasparenza tecnica e rigore istituzionale. Ed è proprio in questi momenti che la politica dovrebbe ascoltare di più e proclamare di meno.

Il futuro economico dell’Italia non si costruisce a colpi di post, di slogan e di rivendicazioni. Richiede responsabilità, visione, onestà nel raccontare i fatti. Perché la realtà, per quanto scomoda, è il punto di partenza per qualsiasi cambiamento vero. E l’Italia ha bisogno di verità, non di narrazioni consolatorie.